di Pierluigi Piccini
Prima il Pd di Bersani aveva come avversario Berlusconi, ora Letta ha trovato l’avversario ideale nella Meloni. I toni si sono accessi dalle due parti in lotta, non soltanto dai rispettivi leader, dunque sembra essere tornati ai tempi d’oro della contrapposizione ideologica. Sinistra contro destra, comunisti contro fascisti, così molti si sentono rasserenati, sicuri di aver ritrovato una patria. Con toni da guerra fredda: da una parte i presunti putiniani che guardano all’Ungheria con piacere, dall’altra i filo atlantici. A parti invertite i più accaniti amici degli Usa sono diventati coloro che nel passato criticavano la Nato e i filo russi quelli che erano sempre stati contro i Soviet. Vero che il modo è cambiato che le democrature piacciono più ai partiti autoritari di una certa destra che ai democratici che, da Veltroni in poi, hanno preso il modello americano come punto di riferimento. Comunque sia andata, a parti invertite la guerra fredda è rientrata prepotentemente del dibattito politico italiano. In questo senso le vicende in Ucraina sono con le sue atrocità: un tragico pretesto. Il rimescolamento delle parti crea tanta confusione ai militanti di un tempo, ma la ricetta è pronta per la guarigione e si chiama: battaglia per i diritti o, per meglio dire, chi invade è sempre e comunque colpevole. La divisione in blocchi contrapposti, di fatto, è una realtà tangibile che attraversa il quotidiano nei suoi diversi aspetti.
Quindi, i due partiti che riscuotono maggior successo, come dimostrano le ultime elezioni amministrative, hanno capito che la loro competizione li aiuta a crescere. E come si è potuto vedere sia il campo largo, sia l’alleanza di centrodestra ruotano intorno a Letta da una parte e Meloni d’altra. È vero che tutte e due i probabili schieramenti hanno delle problematiche interne, ma la strada sembra essere segnata. Chi rimane fuori ha vita difficile, soprattutto se ha una visione che ha abbandonato la logica binaria per un atteggiamento mentale diverso (Italo Calvino, Lezioni americane), capace di smascherare gli inganni da qualsiasi parte provengano a difesa di una autentica democrazia partecipativa che sappia recuperare la sfiducia nelle istituzioni e combatta l’astensionismo. Che ci sia uno spazio per queste forze sembra evidente, ma la competizione non sarà né semplice né di breve periodo.
Letta vs Meloni, i due leader duellano sui social
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Con una differenza non da poco che Enrico Letta non è Jean-Luc Mélechon, in Italia la sinistra è più debole e il Campo Largo, in crisi, ne rappresenta la cartina tornasole.
Il punto
Una débâcle che pesa anche sull’Italia
DI STEFANO FOLLI
Nelle stesse ore in cui da noi si consumava un’altra puntata dello psicodramma, più patetico che avvincente, del movimento Cinque Stelle, la Francia sceglieva il suo governo. E lo faceva con esiti clamorosi che ora meritano tutta l’attenzione dell’Europa, in particolare di un’Italia che ha poco da guadagnare da una situazione d’instabilità nel cuore del continente. Il sistema elettorale della Quinta Repubblica, a lungo presentato come fautore di solidità perché “taglia le ali”, cioè i partiti estremisti, e incoraggia le forze responsabili, moderate o riformiste che siano, stavolta fotografa il turbamento di una società percorsa da profonde incertezze e ansiosa di essere rassicurata.
L’avanzata sia di Marine Le Pen sia di Mélenchon è un segnale che risuona in tutta Europa.
Visto da Roma, il risultato francese genera numerosi interrogativi. Il primo riguarda Putin, che si starà fregando le mani: la sua profezia sulle “élite europee” destinate a esser scalzate da un’ondata di nuovi radicalismi, sembra aver avuto una prima, inquietante replica sul campo. Il che riguarda Parigi, ma riguarda anche noi da vicino, perché le le forze di rottura sensibili al messaggio del Cremlino sono ben ramificate e vivaci: dagli amici di Conte a quelli di Salvini, differenti tra loro ma con tendenza a convergere nei momenti topici. È vero che Lega e 5S hanno appena dimostrato di avere scarso seguito elettorale, ma i dati francesi di stanotte potrebbero agire da tonico. Lo vedremo già domani, in occasione del fatidico dibattito sull’Ucraina con le comunicazioni del presidente del Consiglio.
Di sicuro una Francia radicalizzata, con un presidente appena rieletto ma di fatto ridimensionato, se non delegittimato dal voto legislativo, pone problemi seri ai vari protagonisti e comprimari della scena italiana. A destra Giorgia Meloni può sentirsi gratificata dallo straordinario exploit di Marine Le Pen, ma occorre ricordare che i rapporti tra FdI e il “Rassemblement national” sono tutt’altro che calorosi. Prima dell’intervento in Spagna al congresso di “Vox”, sembrava che lei volesse coltivare un’immagine di relativa moderazione, al fine di guadagnare voti al centro, mentre era Salvini che intratteneva le migliori relazioni con la Le Pen. Da adesso in poi si capirà meglio qual è la rotta della destra italiana. E anche dove vuole collocarsi Berlusconi con quel che resta di Forza Italia.
È chiaro che un’Italia radicalizzata, dopo una Francia altrettanto radicalizzata, porrebbe l’Unione europea di fronte a scenari del tutto imprevisti, per i quali non c’è una risposta predefinita. Di certo, in vista delle politiche del prossimo anno, alcune strategie dovranno essere riviste.
La nostra legge (il cosiddetto Rosatellum) è forse la peggiore per affrontare una simile tempesta, ma non è detto che il dato francese spinga per una riforma. Anzi. In ogni caso, l’alleanza tra il Pd e i 5S subisce un altro colpo. Secondo logica, Conte e i vari gruppi della sinistra dovrebbero aggregarsi come è riuscito a fare Mélenchon. Viceversa, se vorranno restare legati al Pd – prospettiva incerta dopo l’Ucraina – tenteranno di spostarne l’asse a sinistra, sull’onda francese. Ma è proprio il sentiero che Letta non ha interesse a imboccare. D’altra parte, il fronte “macronista”, chiamiamolo così – da Renzi a Calenda, da +Europa agli ex Forza Italia non scompare, benché le notizie da Parigi siano tali da smorzare molti entusiasmi. E sarà più complicato tirare il Pd verso nuove alleanze centriste.