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Cara Alida… gentile signorina Valli… alla celebre diva del cinema… Alida adorata… gentilissima stella… graziosa signorina… gentilissima baronessina… fino a Eccelsa diva…: le intestazioni delle ottanta lettere, tra le migliaia, scritte tra gli anni Trenta e Cinquanta, alla più amata diva del ventennio, si sbizzarriscono nella dedica, preferendo la cordialità complice che si stabilisce con i film.
Al culto multiplo della diva che vivrà più volte, rifiutando Salò ma andando in America, dove fu battezzata «Valli» e riprendendo nuova carriera con il conte Luchino Visconti, che i fascisti per poco non fucilarono, è dedicato il libro di Federico Vitella (Università di Messina) che subaffitta il cinema alla storia.
Lettere ad Alida Valli (Marsilio) pubblica una parte del patrimonio epistolare (oltre al Fondo del Centro Sperimentale) oggi raccolto da Pierpaolo, nipote della baronessa Alida Maria Von Altenburger: nel momento del massimo fulgore riceveva 1.700 missive alla settimana. Icona di bellezza e seduzione nell’Italia del regime, fu star modello per migliaia di italiani allineati al Duce, mentre il nostro cinema passava dagli eroismi bellici ai telefoni bianchi, dalle commedie scolastiche con Ore 9: lezione di chimica ai drammi di propaganda come Noi vivi, fino alle Due orfanelle, a Piccolo mondo antico di Mario Soldati, mentre si diffondevano le note di Ma l’amore no di Giovanni D’Anzi e Michele Galdieri dal film Stasera niente di nuovo. Valli era presente e amata, mentre l’Italia diventava sempre più povera e disperata, nonostante ponesse la prima pietra, 29 gennaio 1936, di quella che sarà Cinecittà.
Le lettere sono cariche di speranze e complimenti, chiedono foto con dedica, ma qualcuno si lancia in richieste economiche: «Se avesse qualche rifiuto di vestito, lingeria o scarpe! Mi farebbe felice se me lo desse per mia figlia», scrive una signora da Milano il 16 gennaio 1949, mentre Fatima, da Ravalle (Ferrara), nel 1957, arriva a chiedere anche «solo» 30.000 lire per le lenzuola. Maria, da Cabriolo (Fidenza), nel 1939, chiede 150 lire non appena ricevuta la lettera, ed Elena G., il 21 giugno 1948, da Torino, chiede un aiuto per ritrovare il figlio disperso, «imbarcato come sergente maggiore per Sanfrancisco di California».
Le missive hanno data e luogo, ma non sono mai identificabili gli autori. Ci sono tenenti e sergenti che scrivono anche poesie: Rino P., che ha fatto il militare a Cuneo (come nella celebre battuta di Totò), dice di aver convinto e costretto tutti i suoi commilitoni a vedere e rivedere Senso: «Se dovessi raccontare a FROID tutti i particolari di questa sconfinata ammirazione per lei, forse troverebbe di che guarirmi perché credo davvero sia un caso da psicanalisi, il Complesso di Alida».
Una sedicenne di Forlì le confessa un amore appassionato e (allora) impossibile. Anche Gianna I., da Napoli, nel 1939, le scrive una lettera d’amore, in anticipo sui tempi gender. E c’è qualche personaggio in cerca d’autore: obbligatissimo, Stefano da Genova, le manda un soggetto apposta per lei e Nazzari, coppia perfetta.
La storia professionale e umana della Valli si mescola inesorabilmente con alcuni momenti della nostra storia: Alida, fino alla sua morte nel 2006 a 84 anni, dimenticata e in parte aiutata dalla legge Bacchelli, si portò dietro l’appellativo di diva del ventennio, sempre negando di essere stata la preferita del regime, se mai «usata» come veicolo di cine popolarità che la famiglia Mussolini aveva intuito. Inoltre, essendo nata a Pola, in Croazia, si porta dietro le lotte d’indipendenza di quei territori ex italiani (profughi istriani che chiedono abiti smessi o denaro in nome dei comuni natali). È anche una delle dive cui continuarono a scrivere gli ex fascisti di Salò, oltre alle spose di guerra emigrate in America: una, nel 1948, le scrive dal Michigan, pregandola di far propaganda per l’Italia. Lei in America ci andò per tagliare i ponti e per Il caso Paradine di Alfred Hitchcock con Gregory Peck: «Ma tutti noi del set — raccontava — dovevamo subire le terribili prelibatezze del regista, si considerava un grande cuoco e ci invitava a cena a casa». Il film più noto fu però nei bassifondi viennesi, Il terzo uomo di Carol Reed con Orson Welles: «Ma non ci incontrammo mai, non avevamo scene insieme!».
Il coraggio di Alida fu quello di reinventarsi sempre: dopo la caduta del fascismo fu la meravigliosa contessa Livia Serpieri in Senso, che già suggeriva, vent’anni prima del Gattopardo, che il Risorgimento era stata una rivoluzione fallita.
Non bisogna dimenticare che l’attrice fu coinvolta in prima persona nel caso Wilma Montesi, la giovane trovata morta nel 1953 sulla spiaggia di Torvajanica, un anticipo tragico di Dolce vita in cui erano implicati politici democristiani di primo piano. «Fu la mia telefonata, che diceva la verità, a scagionare Piero Piccioni», mi raccontò una sera a cena, dopo anni di sospetti e polemiche. Prima di continuare con il cinema (ebbe un bel rilancio con Michelangelo Antonioni, Bernardo Bertolucci, Valerio Zurlini, Pier Paolo Pasolini), scelse di affrontare un genere a lei sconosciuto come il teatro, recitando in molti spettacoli con il compagno Giancarlo Zagni, fra cui Giro di vite di Henry James, in cui lei era la governante.
Il bello di questo epistolario è che è specchio dell’Italia di tutti i giorni nella peggior congiuntura. «Affronto anche — dice Vitella a “la Lettura” — la Valli come modello di una femminilità moderna, non solo madrina di guerra al fronte. È una benefattrice per bisognosi, di cose concrete ma anche di sogni d’amore, disagiati di vario ordine e specie; oltre a diva che resterà punto di riferimento per i profughi istriano-dalmati e varie categorie di nostalgici». Commuove il sottotenente Dionigi che le scrive per avere conforto da un fortino isolato ai confini del Paese: come un racconto di Dino Buzzati, l’incipit di un Deserto dei Tartari 2.
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