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ROMA – Da una parte il piccolo Putin che in Ucraina lancia missili anche sui supermercati dove la gente fa la spesa, che con la sua cricca minaccia i paesi europei da lui considerati degenerati e decadenti. Non solo, l’autoesaltato di Mosca si è detto sicuro che presto i cittadini europei si rivolteranno contro i loro governi per la crisi, non solo energetica, che li colpirà a causa dalle sanzioni anti Russia. Il premier Mario Draghi ha ben chiaro lo scenario e al vertice del G7, in un passaggio, ha indicato il rischio che occorre scongiurare a qualsiasi costo: “… la crisi energetica non provochi il ritorno del populismo” ha detto. I sondaggi stanno già certificando che i cittadini italiani cominciano ad abbandonare l’Ucraina al suo destino, dopo la crisi portata dal covid arrivano segnali preoccupanti per le conseguenze che anche noi stiamo pagando per sostenere la resistenza degli ucraini contro l’invasore russo.
Vero che Lega e M5S, i partiti che nel recente passato hanno dato ampio spazio politico al populismo in chiave italiana, sono in profonda crisi. Ma è altrettanto vero che il malessere sociale, la difficoltà e l’angoscia che può prendere i singoli cittadini possono trovare subito altre sponde e altri volti. Di qui le contromisure, anche queste messe subito in chiaro dal premier Draghi: “Vanno evitati gli errori commessi in passato… va mitigato l’impatto dell’aumento dei prezzi dell’energia, oltre a compensare le famiglie e le imprese in difficoltà e tassare le aziende che fanno profitti straordinari”.
Anche quando i prezzi dell’energia scenderanno, per Draghi non è pensabile tornare ad avere la stessa dipendenza dalla Russia che c’era prima. La dipendenza dalla Russia va eliminata per sempre. Senza girarci intorno è chiaro che il governo Draghi, nato sull’onda dell’emergenza e sostenuto da tutte le forze politiche tranne Fdi di Giorgia Meloni, entrerà in fibrillazione che aumenterà e man mano che ci avvicineremo alle elezioni politiche della primavera 2023. Le ultime elezioni amministrative, d’altra parte, hanno già fatto capire che ogni partito ha grossi guai anche in casa propria.
Nel Centrodestra Lega e Forza Italia non pensano affatto di cedere la leadership a Giorgia Meloni anche se ormai è certificato, non solo dall’ultimo voto ma da tutti i sondaggi, che Fratelli d’Italia è il primo partito in Italia. Nel Centrosinistra il Pd, uscito molto bene dalle amministrative, si ritrova un M5S ancora più diviso dopo la scissione di Luigi Di Maio. Grillo, Garante Supremo, ha deciso che il governo Draghi va sostenuto fino alla fine e Giuseppe Conte dovrà rassegnarsi ed eseguire la comanda. Ma forse Grillo non ha considerato che l’altra sua decisione, lo stop tassativo dopo due mandati, potrebbe essere ben presto scatenare altre partenze in direzione Di Maio per cercare una qualche scialuppa di salvataggio in altri schieramenti.
Saranno guai per i Dem di Enrico Letta che ha urgente bisogno di avere forti alleati a tutti i costi ed anche di individuare il ‘Tommasi’ nazionale da indicare come premier, visto che tutti i sondaggi da più di un anno comunque non schiodano i Dem dal 20%. Al momento non solo ci sono problemi col M5S dove, ultimo sondaggio, c’è il 50% degli iscritti-elettori che non vogliono allearsi, ma anche con Azione di Carlo Calenda che ormai veleggia oltre il 5% e che ogni volta ripete che andrà da solo. Per non parlare di Matteo Renzi e degli altri cespugli cresciuti a sinistra. Una mano al Pd potrebbe arrivare da Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, il più forte sindacato italiano, che il primo luglio a Roma ha chiamato tutti i leader del Centrosinistra a confrontarsi con lui all’Acquario Romano. Per qualcuno è la prova che Landini punta a diventare il catalizzatore politico capace di mettere insieme M5S e le micro forze di sinistra per creare un fronte alternativo in grado poi, se non sarà possibile andare al governo col Pd, di avere un significativo e determinato schieramento di opposizione.