James Ellroy, prima di trasformarsi nel cartografo di una tragedia morale
9 Luglio 2023Enzo Jannacci – Quelli che
9 Luglio 2023
Inviata a Lecco
Il regista e il monsignore a confronto sul rapporto tra fede, Chiesa e cinema. E’ stato denso di contenuti ed applauditissimo dal pubblico del Lecco Film Fest l’incontro in piazza XX Settembre fra il regista Marco Bellocchio e monsignor Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello spettacolo, sul film Rapito, in concorso all’ultimo Festival di Cannes. Il regista, dopo avere trionfato ai Nastri d’Argento con 7 premi, ha appena vinto il Globo d’oro della stampa straniera in Italia per Esterno Notte su caso moro e per Rapito, film che rievoca il caso di Edgardo Mortara, il bambino di sette anni che nel 1858, nel quartiere ebraico di Bologna, venne strappato alla sua famiglia dai soldati di papa Pio IX poiché battezzato di nascosto da una domestica. Secondo le leggi dello Stato Pontificio, il bimbo doveva essere allevato secondo la fede cattolica e il piccolo venne trasferito a Roma sotto la custodia di Pio IX. Entrato in seminario, Mortara proseguì convintamente la sua vita da sacerdote fino alla fine.
Bellocchio è stato invitato fra i duecento artisti che hanno incontrato lo scorso 23 giugno papa Francesco in Cappella Sistina. Comprensibile quindi l’interesse per un confronto aperto fra il maestro laico (ma formatosi da ragazzo presso le scuole dei Fratelli cristiani e dei Barnabiti), che affronta temi anche scomodi riguardo l’istituzione religiosa, e l’uomo di Chiesa esperto di cinema che ha portato il maestro alla quarta edizione del Lecco Film Fest, che si conclude oggi, per interrogarlo sulle motivazioni profonde di questo film. «Ridestare lo stupore? Il cinema lo fa ogni volta che racconta la verità» spiega Bellocchio commentando il tema del Lecco Film Fest organizzato da Fondazione Ente dello Spettacolo. L’incontro fra Bellocchio e Milani è stato introdotto dal giornalista cinematografico di Radio Vaticana – Vatican News Rosario Tronnolone che ha ricordato la carriera del regista lunga quasi sessant’anni. «Una ferita aperta nella Chiesa e anche nei rapporti fra la Chiesa e la comunità ebraica” spiega monsignor Milani a proposito del caso Mortara chiedendo al regista perché si sia avvicinato a una storia così complessa. «Io non so perché Spielberg o Schnabel volessero fare un film dal caso Mortara. – dice Bellocchio. –. Me lo disse anche Pupi Avati che avrebbe voluto fare questo film su questo. Io leggendo e scoprendo questa storia ho sentito, in modo inconscio, che c’era qualcosa lì dentro di lontanissimo che si connetteva con qualcosa di profondo della mia stessa esperienza. La violenza subita da questo bambino ebreo, pur se trattato con paternalismo generoso da parte del Papa, sicuramente lo ha straziato e lo ha obbligato a convertirsi. Alcuni cattolici ritengono che la conversione del Edgardo venisse dalla Grazia, ma io non credo. Mi ha ricordato una forma di educazione religiosa che io ho ricevuto alla sua età che si basava, almeno nel mio caso, su una forma di intimidazione diretta, nell’incutere il terrore del non morire in peccato mortale, perché avrebbe significato finire all’Inferno per tutta l‘eternità. Queste cose per fortuna i sacerdoti non le dicono più, lei monsignore non le direbbe…».
Monsignor Milani replica: «Lei ha detto che questo è un film sul potere, qui c’è il potere in una forma dove non ci saremmo aspettati della Chiesa che travalica. Io invece vedo in questo film anche, il tema della libertà, i processi che portano ogni uomo e donna a diventare liberi». Per Bellocchio «la libertà sta alla base anche del mio lavoro. Le cose che a me piacciono di più son sempre i momenti in cui mi liberavo al conformismo
e non accettavo una serie di imposizione che volevano darmi». Ma ammette di avere un substrato molto complesso legato alla formazione cattolica: «Io non sono un ateo, sono un non credente, ma il mio modo di parlare, la gentilezza e anche la mia sottile ipocrisia nascono da una formazione cattolica che avrò fino alla morte. C’è una formazione cattolica che ha anche degli aspetti molto positivi, questa forma di grazia, gentilezza, discrezione e sincerità nasce da là. Ci sono stati anche sacerdoti e persone cattoliche che mi hanno capito come padre Virgilio Fantuzzi, gesuita, critico cinematografico di Civiltà Cattolica ». Pur se il suo sguardo è spesso critico, Bellocchio ammette la necessità del dialogo: «Sono stato di recente a un dibattito fra una comunità ebraica e una cristiana in cui si ribadiva la necessità assoluta del dialogo, io ribadivo la necessità di includere in questo dibattito anche i non credenti. E’ assolutamente necessario in questo momento storicamente molto pericoloso, cercare un dialogo. In questo senso il Papa è un alfiere». Monsignor Milani aggiunge di avere amato in Rapito la scena in cui il piccolo Edgardo libera dai chiodi la statua di Gesù Cristo: «A me ha colpito da cattolico e da prete il tentativo di liberare la fede dalla religione, di togliere la ragione di Stato di un Papa che è anche re che si deve confrontare con la politica, vicende che noi oggi facciamo fatica a capire ». Bellocchio spiega: «Con quel gesto è come se il bambino volesse prima di tutto la conciliazione. Vorrebbe che andassero d’accordo gli ebrei e i cattolici per la sua pace. C’è un mistero a cui non ho saputo dare una risposta: il fatto che quando arriva il fratello bersagliere dopo la breccia di Porta Pia inaspettatamente Mortara decide di rimanere col Papa. Nel suo zelo era estremamente sincero, noi abbiamo cercato di difendere complessivamente la vera storia di Edgardo Mortara». Davide Milani, apprezzando «il rigore storico del film», chiede a Bellocchio come mai il tema del sacro sia presente in molti suoi film, se si senta provocato in qualche modo. «Se c’è qualche credente sincero di cui ammiro l’intelligenza, il coraggio e l’onestà, lo ascolto, ma la sua fede non mi penetra. Sarei falso se dessi adito a un dubbio – aggiunge Bellocchio -. Anche se questa assurdità della fede la guardo con estrema attenzione. Lo stesso Papa Francesco lo ha detto: la strada comune è la bellezza, che è una rappresentazione irrazionale e che può essere una via che accomuna credenti e non credenti. Il Papa inoltre ha il coraggio di pronunziare una serie di parole e di temi, che nemmeno la sinistra ha più. L’amore per il prossimo che ci fu insegnato da bambini, la carità, la misericordia, il non odiare gli atri sono cose rivoluzionarie se vengono applicate. Mentre noi ci siamo basati sull’odio di classe, l’odio era necessario per vincere il nemico. Tutte cose che questo Papa le respinge, e quando lo dice lui, uno ci crede».