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15 Luglio 2022Filosofia Il libro di Desiderio (Aras)
di Alessandro Chetta
Nella quarta edizione dell’Estetica Benedetto Croce riscrisse il capitolo dedicato al sentimento, caposaldo della sua filosofia dell’espressione nonché fonte di equivoci: il solo sentimento privo di intuizione, ammoniva, smarrisce ogni senso d’arte e poesia, i frutti più gustosi dell’azione umana. Precisazione che oggi pare seppellita dalla prassi quasi esclusivamente emotiva su cui fanno leva tante opere: per ravvivare quel fondamentale discorso Giancristiano Desiderio manda in stampa il terzo volume della sua Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce (Aras edizioni, pagine 231, e 19), dedicato stavolta appunto all’estetica e alla critica letteraria. Questioni centrali per il fondatore della «Critica» a cui dobbiamo, si può dire, l’upgrade a inizio Novecento del concetto stesso di estetica rispetto ai connotati più sfumati di edonè di cui la rivestì Kierkegaard per contrapporla ai doveri della morale; «un uso troppo basso, filosoficamente spaesato» di quel termine — estetica — col quale piuttosto Croce profilava una compiuta forma del conoscere, l’espressione, riferibile non solo all’esteriorità dell’arte ma a una più tonda «scienza mondana».
Riteneva insomma che solo la comprensione della vita estetica, tutt’altro che superficiale, indicasse la strada per accedere «al gran castello della filosofia». Tematizzazione «larga» che prendeva le mosse dalla divorante lettura dell’opera di Francesco De Santis per poi specificarsi e risultare sì convincente da persuadere E.J. James, nel 1927, a commissionargli la redazione della voce Aesthetics per l’Encyclopaedia Britannica, accomunando il pensatore italiano a illustri contributors quali Bohr, Einstein, Bergson.
In 28 capitoli, Desiderio alterna argute disamine sui riflessi delle teorie di Croce nell’ambiente culturale a sapidi cenni biografici, e tra questi non poteva mancare il rapporto con gli editori. Contrariamente a Nietzsche, che randellava il povero Constantin Georg Naumann per le insoddisfacenti «linee intorno al testo», pregando per un’edizione fatta bene, l’inquilino di Palazzo Filomarino doveva respingere a più riprese le richieste di stampare a Palermo e Napoli del siciliano Remo Sandron, con cui aveva pubblicato la mitica prima edizione in copertina color celestino dell’Estetica, pur di non tradire la tipografia Vecchi di Trani, che il filosofo impose anche a Giovanni Laterza, in seguito preferito a Sandron: fiducia ripagata, la terza edizione del 1908 in carta martellata color paglierino venne giudicata «bellissima».
All’estetica si intreccia lo studio della poesia: chi è avvezzo alla pubblicistica di Croce sa che dall’empireo speculativo egli poteva in fretta precipitarsi sui campi della relatività storica, in politica e nella critica letteraria, con abito di polemista. E se con Luigi Einaudi diede di scherma sul liberalismo, a Luigi Pirandello non fece buona la sistematizzazione dell’umorismo, che riteneva non definibile, né — ricorda Desiderio — perdonò nel 1943 a Luigi Russo l’analisi su Giovanni Gentile: «Vi confesso che mi pare un’aberrazione di visuale la grossa parte dedicata al G. che non sa niente di poesia»; invece del vecchio Antonio Labriola, antico amico, sapeva incassare gli utili rimbrotti. L’uomo che scrisse Difesa della poesia sembra stare tutto in questa saetta di Lalla Romano: «Per chi crede nella poesia, la prosa non esiste»; ne racchiude non solo l’universo critico, ma pure la tanto a lungo perfezionata idea di estetica come sorgente del Vero.