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23 Febbraio 2023Berlusconi tramonta e cambiano i ruoli
23 Febbraio 2023
di Massimo Franco
Si sta dilatando la distanza tra un governo che segue con coerenza una strategia a sostegno dell’Ucraina, e partiti inclini a distinguersi: nella maggioranza e nelle opposizioni. Il risultato è di accreditare Palazzo Chigi e Giorgia Meloni agli occhi dell’Occidente; ma con un’immagine dell’Italia sovraesposta sul piano internazionale; e inevitabilmente condannata all’accusa di muoversi senza compattezza. Rispunta, insomma, il vecchio problema di un difetto di unità. Replicare ricordando che in Parlamento FdI, Lega e FI hanno sempre votato gli aiuti al governo di Kiev è corretto e insieme riduttivo.
Corretto perché non ci sono stati scarti nemmeno da parte di Silvio Berlusconi e di Matteo Salvini; riduttivo perché in parallelo i due alleati non smettono di mandare segnali di fumo a Vladimir Putin, e ostili al premier ucraino Volodymyr Zelensky. Quanto è successo nella conferenza stampa finale a Kiev, con Zelensky che attacca frontalmente Berlusconi davanti alla premier italiana, è un indizio. E probabilmente riflette quello che si pensa a Washington. L’anniversario odierno dell’aggressione russa, tra ripetuti appelli a una tregua improbabile, fa riemergere i distinguo. Ma in maniera trasversale e tale da confermare che sulla politica estera non esiste un’alternativa all’esecutivo attuale.
Arriva anche la riprova di quanto dalla Federazione russa continui la pressione su alcune forze politiche e singoli personaggi, nel tentativo di indebolire l’appoggio dell’Italia alla Nato e l’adesione alle alleanze europee, finora costante a dispetto delle tensioni con la Francia. Qualche scricchiolìo isolato si avverte perfino nelle file di FdI, seppure provocato da «battitori liberi» senza peso. È vero che da FI si preferisce non replicare a Zelensky e non alzare i toni: le ripercussioni negative registratesi nei rapporti con il Ppe consigliano prudenza. Pochi, tuttavia, credono che i legami stretti tra Berlusconi e Putin saranno recisi per ragioni di Stato: non a lungo, comunque. Ieri, tra l’altro, il capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo, ha ribadito i dubbi del Carroccio.
«Attenzione e prudenza», ha detto Romeo, «a non inviare delle armi che trascinino la Nato in un conflitto diretto con la Russia»: come se non fosse una prospettiva che tutti temono. Tuttavia, suona stonato evocarla subito dopo il ritorno da Kiev di Giorgia Meloni e le critiche a Putin e alla sua «demente autocrazia» di Giulio Tremonti, di FdI, presidente della Commissioni Esteri. La Lega rischia di lambire le posizioni del M5S; e di essere additata come nostalgica di un asse anti Nato che rimanda al governo del 2018 con i grillini e con Giuseppe Conte premier: lo stesso Conte che tuona contro l’«escalation militare» e contro Zelensky: «Non può essere l’unico depositario di una soluzione di pace».