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Quel citofono di casa Musk che è diventato Twitter, nelle mani dell’uomo più ricco e spericolato del mondo, ha rivelato ormai l’obiettivo reale dell’ingente e spropositato esborso di ben 44 miliardi, circa tre volte il valore reale della piattaforma, da parte del magnate di origine sudafricana. In uno dei suo ormai alluvionali post, il padrone di casa ha rivelato che Twitter, veicolando centinaia di migliaia di messaggi e informazioni del mondo del giornalismo globale, sarà uno straordinario serbatoio di dati a cui attingere per addestrare e alimentare i sistemi di intelligenza artificiale. Come avevamo scritto in un nostro commento precedente (vedi qui), l’acquisto dell’uccellino non risponde a logiche né industriali né commerciali, ma semplicemente a una bulimia di dati che spinge Musk a razziare ogni possibile contenuto.
Ma perché questi dati? Cosa si intende per addestramento dei sistemi automatici di intelligenza artificiale? Qui la discussione diventa più insicura. Si è arrivati, comunque, a un tornante nel capitalismo digitale, in cui – dopo avere largamente sostituito il lavoro materiale con un’automazione motoria che ha riprodotto i movimenti umani, e dopo aver arricchito quest’automazione con sistemi intelligenti che imparano dall’esperienza e, appunto, dai dati – si produce un salto della specie che potremmo definire quantistico.
I nuovi modelli neurali, combinando potenza di calcolo, indotta proprio dai nuovi calcolatori quantici, con una massa di informazioni evolute, quali quelle del mondo del giornalismo, si apprestano ad affiancare e a simulare l’intera funzionalità del cervello, innanzitutto come pura protesi, con funzioni terapeutiche, ma poi con l’ambizione di sostituire proprio le funzionalità neurologiche con sistemi artificiali.
Se, alla luce di questi nuovi scenari, si rivede la gamma delle attività e imprese di Elon Musk, si può capire meglio. La matrice della sua ambizione digitale si chiama Gpt-3, un vero agente intelligente, che era stato elaborato da una delle società di Musk e poi venduto a Microsoft. Il sistema era presentato come un artificio capace di automatizzare la scrittura sulla base di poche indicazioni. Subito dopo, il software ha cominciato anche ad autoprogrammare se stesso, cioè a produrre altro software, senza che gli fossero state date istruzioni precise. Nei meandri di quella poderosa massa di dati (parliamo di migliaia e migliaia di petabyte di informazioni: un petabyte equivale a mille miliardi di byte), il sistema ha trovato i dati per organizzare una linea di produzione di software. Il passaggio fondamentale, in questa acrobazia digitale, riguarda l’intraprendenza dell’agente intelligente che, evidentemente, al momento della sua progettazione, aveva avuto istruzioni e orientamenti per realizzare quest’obiettivo: raccogliere ed elaborare ogni informazione che potesse produrre intelligenza. In questa spirale, in cui si produce intelligenza mediante intelligenza – potremmo dire, parafrasando Piero Sraffa –, il sistema si avvicina a quella che si chiama la singolarità della macchina, quando il nucleo di intelligenza artificiale si emancipa dal suo badante umano. Musk ha chiaramente in testa l’obiettivo di innescare processi di singolarità. E siccome non è un distratto apprendista stregone, ma un accorto e furbo capitalista, sa già come governare e finalizzare quest’apparente incontrollabilità del sistema.
Ora, si tratta di capire come atteggiarsi in questo quadro. Come elaborare e sviluppare gli anticorpi verso un tale potere biologico. La sinistra si trova a un nuovo bivio – e proprio per le sue condizioni di estrema crisi, indotte da un’inadeguatezza nel leggere i processi di trasformazione tecnologica. Già in passato, ha pensato di esorcizzare le capacità di trasformazione del capitalismo rifugiandosi in una messianica attesa della sua crisi. E questo, come sosteneva Schumpeter, benché gli epigoni marxisti dei profeti di sventura “avessero vissuto all’alba dei più spettacolari sviluppi economici che si siano mai visti”. “Grandi possibilità si stavano trasformando sotto i loro occhi. Ma essi non seppero vedere altro che economie bloccate, che si battevano con sempre meno successo per il pane quotidiano. Credevano che l’avanzamento tecnologico non sarebbe riuscito a contrastare la fatidica legge della diminuzione dei profitti, e che una condizione di immobilità fosse ormai alle porte”.
Una descrizione, questa, che potrebbe essere riproposta oggi senza timore di essere smentiti o di sembrare anacronistici. Siamo, ancora una volta, alla trasformazione della propria insufficienza in incredulità. In questo gorgo di processi tecnologici, in cui proprio la specie umana viene riprogrammata, quello che ci serve non è un partito ma una classe, ossia una comunità sociale in cui l’interesse materiale conviva con la capacità di liberazione globale. Una classe che sappia abitare questa nuova contraddizione, in cui il sapere proprietario sfida la potenza di una socializzazione dei circuiti di ricerca, producendo soluzioni che devono invece essere riprogrammate e negoziate dai soggetti professionali e intellettuali. Serve una classe che possa contrapporsi a questa progenie di sacerdoti del calcolo, che hanno privatizzato il futuro, asservito perfino la guerra, e colonizzato la futura pace. Da questo scenario si deve partire.