Ernaux, nei confini della sua vita un ritratto dei destini generali
7 Ottobre 2022Amy Winehouse – Love Is A Losing Game
7 Ottobre 2022
di Dacia Maraini
L e donne hanno bisogno di tempo per passare dal pensiero all’azione. Per il semplice fatto che sono state abituate, per costrizione, a ingoiare il malcontento, a tacere, rimandare, sopportare. Sono i tempi dell’auto repressione, i tempi della riflessione e dell’incertezza: avrò il diritto di parlare? Avrò il diritto di disobbedire senza venire meno al mio destino di donna? Avrò il diritto di esprimere il mio disaccordo, la mia ira, avrò il diritto a un principio di libertà? Tutte domande a cui la storia ha sempre risposto: no, tu non hai diritto di disobbedire alle leggi dei Padri. Se la donna insisteva chiedendo il perché di questo destino, la risposta era sempre la stessa: perché lo vuole Dio Padre. Ti puoi mai mettere contro Dio? Se pretendi di saperne più del Padre che sta nei cieli o sei pazza e ti mandiamo subito in manicomio, oppure sei solo presuntuosa, allora sarai condannata all’esilio dalla comunità. In certi periodi, dopo un processo fatto di torture per ottenere la confessione di connivenza col demonio, veniva condannata al rogo. Bruciata viva davanti alla sua comunità. E si chiedeva ai parenti di portare le fascine e di pagare il cibo consumato in prigione. Per tutte queste ragioni le donne fanno fatica a ribellarsi. Molte poi hanno talmente introiettato la condizione di inferiorità da non rendersi nemmeno conto delle ingiustizie che subiscono.
Per fortuna alcune, di solito le più allenate all’uso del pensiero autonomo e della parola, di fronte a un ultimo atto di crudeltà misogina finalmente trovano il coraggio di uscire allo scoperto. E improvvisamente le altre, quelle che hanno sempre taciuto, respirano l’aria della rivolta e riconoscono in se stesse la rabbia per quella ideologia che le vuole deboli, remissive e silenziose. Capiscono, dall’esempio delle più ardimentose, che si può reagire, si può protestare. E non importa se si rischia la vita. Per una volta rifiutano una quotidianità fatta di umiliazioni accettate perché volute da un Dio Padre crudele e discriminante.
È quello che è successo in Iran in questi giorni. Alcune ragazze intraprendenti, prese dall’indignazione di fronte alla uccisione di una coetanea da parte della «polizia morale», hanno cominciato a protestare in pubblico togliendosi il velo e tagliandosi i capelli. Le altre hanno seguito, accompagnate spesso da ragazzi insofferenti a un regime di totalitarismo religioso. La reazione è stata brutale e spropositata: a oggi si parla di 150 morti e 20.000 arrestati. Segno che il regime è terrorizzato dalla protesta dei giovani e pensa di fermarla con il terrore. Li buttano nel famigerato carcere di Evin, conosciuto per le sue efferatezze. Ma ce la faranno a fermare la protesta?
E che dire della decisione delle donne europee che si tagliano ciocche di capelli in segno di solidarietà? Sono state accusate di frivolezza e gesti di inutile teatralità. A me sembra invece che facciano benissimo. La solidarietà è preziosa e aiuta chi protesta. Tutti i regimi cercano il consenso e il consenso straniero ha un suo peso. Quindi anch’io, simbolicamente, mi taglierò i capelli (che ho già corti per antica disobbedienza) e manderò loro un saluto pieno di ammirazione e di affetto.