La riforma prevede che il facilitatore potrà essere punito solo se riceverà soldi e li girerà al pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni
«Dobbiamo evitare di cadere nel famoso traffico di influenze: dobbiamo stare molto attenti». Sarebbe bastato ancora un po’ di tempo a Tommaso Verdini per poter stare un po’ più tranquillo: perché il reato che tanto temevano lui e i suoi soci della Inver, lo stesso che aveva dato il via all’indagine che li ha portati agli arresti per corruzione, tra qualche mese probabilmente non ci sarà più. Il governo, così come sta facendo con l’abuso di ufficio, vuole infatti cancellarlo. Non formalmente ma praticamente sì: così come è stata riscritta la norma, dicono infatti i giuristi, la sua applicazione diventerà praticamente impossibile. Dando così un colpo di spugna a decine di inchieste aperte in tutta Italia e permettendo la riabilitazione anche di condannati per quella fattispecie: Luca Palamara e Gianni Alemanno, due nomi su tutti. La riforma prevede infatti che, per essere punito, il facilitatore dovrà ricevere soldi e girarli al pubblico ufficiale nell’esercizio della sua funzione. Un caso su mille.
Ecco perché in Parlamento e nelle Procure in molti sono convinti che, nascosti dietro le richieste dei sindaci, la vera partita di questa riforma della giustizia si giochi proprio attorno al traffico di influenze e alla depenalizzazione di chi si muovo lungo una sottile linea d’ombra: quella che divide il regolare lavoro del lobbista con quello, invece illecito, del faccendiere. O meglio del “facilitatore”, il vero ingranaggio d’oro della corruzione. Per capire l’entità della partita basta ascoltare le parole dei protagonisti. Da una parte e dall’altra della barricata. I Verdini con la loro Inver, come si diceva, erano terrorizzati dalla possibile applicazione del reato. Tanto che al momento di assumere una nuova collaboratrice la istruivano proprio su cosa fare e cosa no: mai nessun documento conservato, non lasciare tracce, “perché la nostra è un’attività molto mal vista perché molto borderline…”.
Avevano ragione Tommaso Verdini e il suo socio Fabio Pileri. Come ha spiegato al Parlamento il magistrato italiano che più si è occupato di corruzione in Italia negli ultimi anni, Raffaele Cantone, procuratore di Perugia ed ex numero uno dell’Anac. «Depenalizzando le condotte di abuso » ha detto proprio in commissione giustizia al Senato il 13 settembre scorso, spiegando il perché abolire l’abuso di ufficio e modificare in questo senso il traffico di influenze possa rivelarsi una catastrofe, «si finisce per far venir meno uno dei tre presupposti necessari per considerare illecite alcune delle azioni tipiche dei faccendieri. Rischierebbe di diventare, per esempio, lecito il pagamento di una somma di denaro ad un soggetto per “spingere” su un magistrato perché decida in un modo piuttosto che in un altro. O il pagamento anche di una grossa somma di denaro a chi promette una raccomandazione nei confronti di un componente di una commissione di un concorso pubblico, con cui ha rapporti personali, per far risultare vincitore il suo “cliente”. Lasciando senza regole i lobbisti, dice Cantone, «si arriverebbe a qualificare come legittima attività lobbistica comportamenti di faccendieri di questo tipo che però, che in nessuno Stato occidentale sarebbero mai tollerate».
Cantone parla con cognizione di causa. Per esempio: l’ex magistrato Luca Palamara ha già patteggiato per traffico di influenze davanti al gup di Perugia per “avere messo a disposizione di imprenditori le sue funzioni e i suoi poteri”. Ora potrebbe chiedere al giudice di dichiarare l’estinzione del reato. Lo stesso vale per Gianni Alemanno, condannato a un anno e dieci mesi dalla Corte d’Appello di Roma per traffico di influenze – dopo la derubricazione del reato da parte della Cassazione – in uno dei filoni nati dall’indagine “Mondo di Mezzo”. Deve rispondere di traffico di influenze dalla procura di Firenze anche Alberto Bianchi, l’avvocato fiorentino vicinissimo a Matteo Renzi ex presidente della fondazione Open: chissà che fine farà quell’indagine. Mentre probabilmente non partirà mai il processo a Beppe Grillo per i suoi rapporti con l’armatore Vincenzo Onorato: chiusa l’indagine a marzo scorso, la Procura di Milano stava valutando il da farsi vista anche la situazione normativa. Se cambia la legge, inutile nemmeno cominciare.