“Il mio Valentino un grande inno alla vita”
PARIGI
E finalmente, ieri, è stato il giorno di Valentino firmato Alessandro Michele. L’esordio dello stilista,uno dei più influenti della sua generazione, è stata una lunga carrellata fastosa — e intelligente, piena di capi e accessori appetibili — attraverso l’archivio del grande sarto romano, tra le cineserie, i volant, i pois, i rossi, i bianchi. E ora non si parla d’altro. Abbiamo incontrato il designer alla vigilia del debutto, prima dello show, del caos e della standing ovation, per parlare di questa sua nuova avventura.
Ha detto che a Roma avete il Papa, il Presidente e Valentino…
«Valentino è più accostabile al Papa che al Presidente, perché ha gestito l’intoccabile e l’intangibile. E ha sempre avuto un aspetto quasi santificato: mi ricordo quando da ragazzino lo avvistavo con la sua corte, come un imperatore. Ripenso a un episodio del 1986, a Roma, all’apertura del primo McDonald’s proprio accanto al suo Palazzo Mignanelli, quando lui e Giammetti arrivarono incuriositi e la folla di adolescenti presenti si girò a guardarlo. Oppure, quando da novello Enea in crociera per il Mediterraneo era sempre circondato dalle star sue amiche. Valentino è stato il primo a fare del suo privato una narrazione, per così dire, “pubblica”. Nessuno lo aveva mai fatto prima».
Com’è stato entrare nella maison?
«Quando entri in un posto e lo rispetti, te ne appassioni e lo ami, diventa anche tuo. Io l’ho amato da subito, da quando me l’hanno proposto: ho consumato voracemente la sua storia straordinaria. Qui sto bene, ma forse mi sentirò sempre un po’ un visitatore. Perché la sua presenza è molto forte. Anche la mia, ma io sono anche “gassoso”: mi creo un mio spazio, ma tendo anche a trattenere le cose che ci trovo».
Non ha mai paura di guardare al passato?
«L’archivio di Valentino è come la collezione dei marmi Ludovisi, non puoi metterlo in cantina e dimenticartene, sarebbe tragico. È il suo dna, non avrebbe senso cancellarlo o stravolgerlo. Magari dopo lo show qualcuno dirà che ho fatto un disastro: io faccio le cose a modo mio, e sicuramente la mia mano si sente».
E cosa risponde a chi dice che il suo Valentino ricorda il suo Gucci?
«Che io sono sempre io. Come quando in un film un attore famoso fa, che so, il padre del protagonista.
Recita quella parte, certo, ma resta comunque l’attore con il volto che tutti conoscono. Così è con me, eonestamente sarebbe grave se la mia mano non fosse riconoscibile. Detto questo, la collezione è tutta Valentino, glielo assicuro. Ed è stato bellissimo lavorare con la sua presenza palpabile in ufficio».
A cosa ha pensato, in questi primi mesi di lavoro?
«Mi sono interrogato spesso sulla frivolezza, una parola che non piace a nessuno, ma che meriterebbe più riflessione. Credo che il signor Valentino nella sua grandiosità sia stato capace anche di essere frivolo e leggero, e per me l’incontro con il suo mondo è stata una specie di seduta psicanalitica: mi sono sentito molto vicino al suo modo di pensare e di essere. Perché, mi sono chiesto, dall’adolescenza in poi ho sentito tanto la necessità di difendermi attraverso uno scudo fatto di georgette, fragile e delicato? Quanto la paghiamo, questa leggerezza?».
Cos’altro l’ha colpita di lui?
«La vitalità, l’attaccamento alla bellezza e al privilegio di essere vivi: in lui non c’è nessun rimorso nei confronti dell’eccesso. Anche a me piace questo senso di superfluo intangibile proprio della moda, che però crea anche tanti pregiudizi nei suoi confronti. Da ragazzo mi è capitato di tenere nascosto che facevo questo lavoro per timore dei preconcetti. Invece la moda è un grande inno alla vita, e Valentino lo ha sempre saputo».
Nei mesi scorsi, prima della sua nomina, lo si dava in arrivo ovunque, anche da Fendi.
«È ovvio che, dopo la mia uscita da Gucci, io abbia parlato con diverse persone. Sono stato fortunato, ho potuto scegliere. E l’idea di mescolare questo universo con tutte le cose che mi frullano in testa, per dare libertà all’invenzione della vita altrui, mi è sembrata un’opportunità pazzesca».
Tanto non deve più dimostrare nulla a nessuno.
«Su questo non sono d’accordo. Devi sempre dimostrare che vuoi fare bene, e che ci tieni».
Chi sono il suo uomo e la sua donna Valentino?
«Per l’uomo, ho pensato a lui, al signor Valentino: un uomo libero, un precursore che in tempi molto, molto chiusi ha sempre fatto quello che sentiva. Lui e Giancarlo Giammetti non si sono mai nascosti, e questa nonchalance era anche nel vestire.
Quello che non mi aspettavo, lavorando sulla donna, è stata la seduzione composta, quasi ingenua, ma decisamente spiccata delle sue creazioni. Mi viene in mente un certo tipo di pittura, quando la nudità si fonde così bene con tutto quello che la circonda che quasi non ci fai caso.
E, accanto, anche l’essere démodé di certi pezzi: è un sentimento che mi piace, perché implica il vestirsi solo per se stessi, ignorando il giudizio altrui. Mi pare un bellissimo atteggiamento, oggi».