
Quel prezzo da pagare per ottenere la verità sulle mafie Ha spiegato Cosa nostra
6 Giugno 2025
Regionali, Meloni teme il flop e apre al terzo mandato
6 Giugno 2025Agli inizi di gennaio del 1937 Picasso è incaricato dal governo repubblicano di Spagna di realizzare una grande tela da esporre a Parigi alla «Exposition Internationale des Arts et des Techniques dans la Vie Moderne» nel padiglione spagnolo, che sarà aperto al pubblico il 12 luglio. La guerra civile si combatte in Spagna da quasi un anno. Il 27 aprile giunge la notizia del bombardamento della città basca di Gernika ad opera di aerei tedeschi e italiani, alleati del generale ribelle Francisco Franco. Picasso decide di figurare in quell’eccidio la «vita moderna», scegliendolo come soggetto del dipinto che gli è stato commissionato.
Al 1 maggio risalgono i primi schizzi per il murale. Si tratta di sei Studi di composizione: cinque matite su carta azzurra e una matita su legno preparato a gesso. In essi Picasso traccia un impianto compositivo che, fondamentalmente, resta. Nel loro Estudio Técnico del Guernica del 1980 Jose Maria Cabrera e Maria del Carmen Garrido rilevano i seguenti pigmenti usati da Picasso sulla preparazione della tela a bianco di piombo: il bianco di zinco, il bianco di piombo, e il nero avorio. Mi limito ai ‘colori’ di Guernica.
La combinazione cromatica di bianco, nero e grigio che Picasso ne trae è quella delle fotografie stampate sui quotidiani, come è stato opportunamente notato. Tra gli altri da Jean Louis Ferrier nel suo De Picasso à Guernica. Généalogie d’un tableau: «Guernica è nero come i grandi titoli dei giornali dell’epoca che dicono a l’uomo della strada, nero su bianco, la sua terribile verità, come i documentari e le fotografie inviate a distanza con il belinografo». Dunque saremmo di fronte ad una restituzione in pittura, da Picasso consapevolmente perseguita, di immagini formulate secondo la scala del bianco e del nero fotografico. Guernica: una sorta di d’aprés che si attiene ai canoni d’una realtà quotidiana documentata dagli scatti dei reporter e impressa sulla carta povera, assorbente dei giornali. Dal nero delle combustioni al grigio dei cementi degli edifici demoliti, alla calcinata bianchezza degli scialbi di pareti diroccate.
La redazione consiglia:
Guernica, l’istantanea rappresentata per via di pittura di potenti tensioni che agiscono innescando nelle fondamenta del costruito, così come nelle correlazioni consuete e stabili del vivere, dinamiche sconnettenti, ciascuna delle quali è travolta e sospinta a seguire una sua propria via, che confligge e si inoltra affermandosi in un contrasto di tragitti reciprocamente incompatibili. La distruzione in atto dei viventi e dei luoghi del vivere.
Ha scritto Giulio Carlo Argan: «in Guernica non c’è colore: solo nero, bianco, grigio. Ma il colore non c’è, è andato via. Rilievo non c’è, è andato via. Eliminare il colore e il rilievo è tagliare il rapporto dell’uomo col mondo: tagliandolo non c’è più la natura o la vita. Nel quadro, invece, c’è la morte».
In questi nostri giorni, d’attorno a noi, e da troppi anni ormai, in Russia, in Ucraina, in Israele, a Gaza la guerra semina morte e un senso se ne diffonde che pervade cupo le nostre ore. Guernica, allora, oggi. Quella tela enorme alta tre metri e mezzo, lunga quasi otto, a Madrid, nella sala del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía. Non fosse per la sua perfezione d’assioma, dunque per la incontrovertibile verità che solo la grande arte (e assai raramente) consente di concentrare in una singola opera una volta per sempre, Guernica dico, oggi per noi potrebbe apparire una inutile ridondanza pleonastica a fronte delle distruzioni di Gaza, delle decine di migliaia di vite schiacciate, estinte giorno per giorno. E noi, che sui teatri di guerra ci accompagnano le telecamere a constatare la morte e la distruzione mentre imperversano, abbiamo ancora occhi e cuore, e sentimento e intelligenza per contemplare Guernica?
Sì. Perché in quella formulazione di immagine del massacro d’una città, realizzata da Picasso tra il 1 maggio e il 4 giugno 1937, noi possiamo come in uno specchio contemplare in un quadro sinottico un tratto essenziale che ha assunto il giornaliero svolgersi delle nostre vite: la nostra umanità violata nei sentimenti, nei pensieri, nelle convinzioni ovvero l’offesa alla nostra libertà di uomini.
QUELL’ODIO CHE CONTINUA A VIVERE IN MEZZO A NOI
Leggi altro