Esistono libri che sono aspettati con ansia dalla comunità italiana interessata al Novecento, ai suoi snodi e alle sue personalità. Raffaele Mattioli. Una biografia intellettuale è uno di questi. Francesca Pino, a lungo responsabile degli archivi storici di Intesa Sanpaolo, è stata dagli anni 80 l’appassionata depositaria della memoria di Mattioli e ha scritto, prima di questo tanto atteso opus magnum di una vita, non pochi articoli scientifici sul banchiere umanista.
Pino dichiara subito il suo metodo e la sua linea interpretativa. Mattioli è considerato soprattutto nel suo pensiero e nella sua influenza appunto intellettuale, che è stata così vasta e profonda da trasformare la banca – la “sua” Banca Commerciale – da un soggetto finanziario in una specie di infrastruttura culturale e sociale dello sviluppo italiano nel Secondo dopoguerra. Evidenzia l’autrice: «Anche se denso di fatti e avvenimenti, questo mio lavoro non risponde ai canoni della storia d’impresa e della banca, pur indicando alcuni tratti dell’imprenditorialità che sono ben riconoscibili in Mattioli. Ho limitato l’uso di modelli, schemi e comparazioni, e l’attualizzazione con rimandi a problematiche dei nostri giorni, cercando piuttosto di illuminare gli aspetti che permettono di collocare Raffaele Mattioli tra i “classici” cui si è tanto dedicato, e di dare alle nuove generazioni la possibilità di scoprirne il pensiero e il temperamento».
Questa biografia osserva il canone della narrazione temporale lineare. L’incipit apre uno squarcio sulle origini di Mattioli, che appartiene a una generazione di giovani provinciali arrivati da adulti a Milano: «Il ramo paterno della famiglia di Raffaele Mattioli era ben radicato a Vasto: il nonno Francesco Paolo è descritto come “negoziante” di pelli grezze e “pizzicagnolo” in un Indicatore generale del commercio del 1881».
Sui primi anni in Abruzzo, lo scrittore Alberto Vigevani riporterà così le confidenze ricevute da Mattioli: «A volte, con abbandono, mi raccontava memorie della propria infanzia, ricordi della giovinezza. L’inverno a Vasto faceva un gran freddo, Mattioli bambino usciva a spasso col nonno che portava un pesante mantello di panno nero. Quando nevicava, lo prendeva sotto l’ala del mantello e il bambino, con la mano, ne sollevava appena una falda: in quello spiraglio, quasi fosse praticato nel sipario di un palcoscenico, s’incantava allo spettacolo delle strade, delle case, del mercato con le sue bancarelle, della chiesa illuminata».
Ma il filo rosso più consistente e robusto che si dipana nel libro è, appunto, quello intellettuale.
Intellettuale nel senso della tecnica economica. E intellettuale nel senso della cultura umanistica. Sul primo versante – dopo l’esperienza esistenziale e politica, nel 1919, nella città occupata di Fiume, dove svolge la mansione di addetto stampa – Mattioli a Milano diventa caporedattore della «Rivista bancaria» e, nel 1920, scrive alla fidanzata Emilia: «La mia Rivista va sempre meglio. Mi è giunta oggi da Vilfredo Pareto una lettera che mi ha fatto molto piacere. Tu non sai chi è Vilfredo Pareto? È il più grande economista italiano, e senza dubbio uno dei più grandi del mondo».
La dimensione analitica permane nella costruzione di una idea di banca: sulla sua rivista compare assiduamente l’attività svolta a favore delle imprese dalle banche americane nel commercio estero, con lo studio dei mercati, della produzione e della distribuzione dei diversi settori.
Qui si coglie l’antica radice riflessiva da cui si genererà la Comit di Mattioli, capace di edificare il mito di sé stessa sul suo servizio studi e sulla sua funzione di bussola delle imprese italiane, dal boom economico, sui mercati internazionali.
Nella cultura umanistica, Mattioli è l’espressione della ricerca di una modernità nell’idealismo, nel senso di Benedetto Croce, e nel tentativo di contribuire alla sprovincializzazione della cultura italiana, resa senza respiro e senza visione da vent’anni di fascismo, attraverso l’organizzazione e la promozione culturale di istituti (per esempio l’Istituto Italiano per gli Studi Storici), di biblioteche, di gruppi di lavoro intellettuali.
L’elemento interessante – nella fusione di queste due accezioni di pulsione culturale – è il compromesso che il pensiero fa con la realtà e che, nella biografia di Mattioli, si traduce – già sotto il fascismo della recessione post crisi del 1929 e poi nella democrazia della ricostruzione – nella continua e assidua attività di elaborazione di strategie sistemiche a beneficio del Paese.
Nel suo dialogo serrato con l’establishment – di cui è una sorta di mago, di organizzatore e di incantatore – propone in una lettera del 28 maggio 1947 un manifesto di politica economica a Palmiro Togliatti, in risposta alla richiesta del capo carismatico e politico del Partito Comunista Italiano di avere un aiuto per capire la situazione monetaria e finanziaria.
Ricostruisce Pino: «L’invito del banchiere a Togliatti era quello di guardare ai fondamentali dell’economia del Paese, a “fare i conti” (come si continuava a dire e pensare nel suo entourage), e a non disinteressarsi della “sana finanza” che è un “interesse nazionale – di tutta la nazione – e se a qualcuno deve importare più che ad altri è proprio a quei ceti a cui più particolarmente il Suo partito si dirige”».
Pensiero e realtà, politica e finanza, tecnocrazia e umanesimo. Tutto nella vita del nipote del negoziante di pelle grezze di Vasto, Abruzzo, Italia.
Francesca Pino
Raffaele Mattioli.
Una biografia intellettuale
Il Mulino, pagg. 404, € 34