Il rebus Calenda che agita il Pd
25 Luglio 2022«il governo di coalizione (‘tecnico’) rappresenta l’impotenza del potere politico»
25 Luglio 2022
di Ernesto Galli della Loggia
È il momento della corsa al centro. Ormai è diventato difficile tenere il conto degli esponenti politici che in vista delle prossime elezioni si candidano a occupare quel luogo dello schieramento politico parlamentare e corrono a fregiarsi di quella denominazione. Ai due o tre gruppi che già da tempo occupavano il centro (Azione, Italia viva, +Europa) e a un numero indefinito di minuscoli gruppetti di parlamentari arruolatisi in sigle ai più sconosciute («Centro democratico, Facciamo Eco, Vinciamo Italia, Noi con l’Italia), se ne sono aggiunti altri.
G ruppi animati da questo o da quel «centrista» d’annata tipo Quagliariello o Tabacci, seguiti di recente dalle truppe di Di Maio e, dall’altrieri, anche dalla migrazione consistente che ha lasciato o è sul punto di lasciare le file di Forza Italia. Invariabilmente tutti diretti al centro.
Oggi però nel sistema politico italiano il centro è un luogo vuoto, un non luogo. Politicamente è il nulla: dichiararsi di centro è come dichiararsi a favore dell’aria condizionata o del gelato alla crema anziché al cioccolato. Equivale cioè a un’identità politica evanescente che non sembra proprio in grado di attrarre grandi masse di elettori. Sicché per chi vi ha puntato le proprie fortune l’occupazione di una posizione di centro appare destinata a risolversi con ogni probabilità in una gigantesca delusione. Proclamarsi «di centro» non serve a nulla. Serve avere qualche idea: proporre qualcosa di importante e magari dire anche come, con quali tempi e quali mezzi sia possibile realizzarla. Serve cioè avere un programma. Anche dirsi «moderati» in Italia non significa granché: da queste parti, ad esempio, per far due cose certo da «moderati» come far pagare le tasse o costringere i tassisti a rinunciare ai loro privilegi serve un coraggio politico da kamikaze: altro che «moderazione»!
Sì, c’è stato un tempo in cui le cose erano diverse. Ed è il tenace ricordo del passato — in particolare dell’ultraquarantennale centrismo della Democrazia cristiana — che probabilmente vale a spiegare quanto sta succedendo oggi. Ma, la storia non si ripete. Il centro acquista un significato politico autentico e in quanto tale diviene quindi un formidabile valore aggiunto solo a una condizione. E cioè che nel sistema vi siano a destra e a sinistra dello schieramento politico due formazioni che per le loro caratteristiche ideologiche abbiano un carattere radicale, estremista, potenzialmente eversivo, che rende assai dubbia la loro legittimità al governo di un Paese retto da ordinamenti democratici. Non è neppure necessario che ciò sia effettivamente vero: basti che lo creda vero la maggioranza degli elettori. Fu per l’appunto questa, come si sa, la situazione italiana dal 1945 alla fine della prima Repubblica. Con un forte partito comunista filosovietico sulla sinistra e sul versante opposto una destra di aperti sentimenti neofascisti, l’unica area legittimata a governare era costituita dal centro. E per l’appunto fu specialmente grazie alla sua collocazione in questa area che per circa mezzo secolo la Democrazia cristiana riuscì a esercitare un virtuale monopolio del potere.
Ma che cosa ha mai a che vedere questa situazione con quella dell’Italia politica odierna? Proprio nulla, direi. Infatti, per quanto sia prevedibile che nelle prossime settimane gli avversari cercheranno di agitare contro la destra il pericolo del «fascio sovranismo» è difficile sostenere l’illegittimità a governare sia nei confronti di Berlusconi (presidente del Consiglio non so più per quanti anni), sia dell’ex ministro degli Interni Salvini. Potranno risultare entrambi sgraditi, sgraditissimi, odiosi, ma dipingerli come dei pericolosi nemici della democrazia repubblicana mi sembra arduo. E lo stesso vale per Giorgia Meloni. Considerare fascisti lei e il suo partito, pronti cioè a usare la violenza contro la sinistra e decisi a limitare le nostre libertà, appare alquanto inverosimile. Perché il fascismo — sarà bene ricordarlo — è stato ed è questo, non già opporsi allo ius scholae o al matrimonio tra persone dello stesso sesso: due misure su cui è perlomeno ragionevole avere dei dubbi anche se non si ha mai avuto alcuna simpatia per Benito Mussolini.
Considerazioni analoghe valgono per il Partito democratico. Davvero c’è qualcuno che lo considera il rappresentante di una sinistra pericolosa per la democrazia? Andiamo! E qual è mai la differenza ideologica tra Renzi e Letta? Finché si parla del Pd le differenze tra il suo dirsi «di sinistra» e il dirsi invece di «centro-sinistra» dei suoi rivali di questo nome è al massimo una differenza di sensibilità, di accenti, di qualche misura programmatica, non di sostanza. Davvero Franceschini o Bonafè sono più «di sinistra» di Rosato o di Calenda? Cerchiamo di essere seri.
La conclusione, data la disposizione e gli orientamenti delle forze politiche italiane appena tratteggiata, è che oggi la collocazione centrista non possiede alcuna valenza ideologica forte, non rappresenta alcun carattere identitario vero. Non vuol dire nulla. È semmai un’altra cosa. Anzi due. Da un lato è il frutto dell’inconsistenza e dunque del potenziale spappolamento di tutte quelle identità politiche nate interamente con la seconda Repubblica (incluso il Pd, nel quale la catastrofe comunista, insieme all’arrivo nelle sue fila di massicce schiere di profughi da altre famiglie politiche assai diverse dal vecchio Pci, ha creato un potpourri genericamente «democratico» privo completamente, però, di un’anima e di un baricentro). E dall’altro lato è il frutto della paurosa sterilità politica del Paese: della sua (della nostra?) incapacità di dar vita a qualcosa di politicamente nuovo e vitale, a una visione del futuro e a una prospettiva capaci di prendere il posto di quelle larvali che abbiamo oggi di fronte.
E allora non meraviglia che in questo vuoto fioriscano i personalismi di ogni tipo, i quali, non sapendo che cosa essere, che cosa dire, si rifugiano tutti nel grande parcheggio del centro. Assai prevedibilmente quasi tutti pronti a uscirne verso destra o verso sinistra a seconda dei risultati elettorali .