
Ray Charles – What’d I Say (1959)
21 Giugno 2025
Chigiana International Festival & Summer Academy 2025
21 Giugno 2025Il Palio, la tradizione, il comportamento di tutti gli attori, l’omologazione e l’autorevolezza, tanti temi trattati con l’ex sindaco Pierluigi Piccini
Il Palio, la tradizione, il comportamento di tutti gli attori, l’omologazione e l’autorevolezza, tanti temi trattati con l’ex sindaco Pierluigi Piccini
L’ex sindaco Pierluigi Piccini è tornato a parlare di Palio e tradizioni dopo il documento del Magistrato delle Contrade e l’allineamento sulle stesse posizioni del sindaco Nicoletta Fabio. A lui, che nel periodo del suo mandato da sindaco, ha portato importanti innovazioni, abbiamo chiesto come si comporterebbe adesso…
Lei ha scritto un articolo molto netto sul tema: “Chi custodisce davvero la tradizione?”. Partiamo da qui: oggi chi la sta custodendo davvero?
Chi custodisce la tradizione non è chi la blocca nel passato, ma chi la vive e la trasmette con intelligenza, assumendosi la responsabilità di farla dialogare con il presente. Oggi la custodisce chi compie scelte difficili ma coerenti, distinguendo tra l’essenza del rito e ciò che può – e deve – essere aggiornato.
Penso, ad esempio, alla Passeggiata Storica, che non è mai stata cancellata, nemmeno nei momenti più complessi: un segno forte di continuità e consapevolezza culturale. O, sul versante tecnico, alla scelta di introdurre i materassi alla curva di San Martino, adottati dal mondo della Formula 1 per aumentare la sicurezza senza alterare la competizione.
Sono decisioni che dimostrano che si può innovare senza omologare, proteggere senza snaturare. La tradizione è viva solo se c’è chi la abita con serietà, non chi si limita a celebrarla o, peggio, a usarla come paravento per non cambiare nulla.
Secondo lei il momento scelto dal Magistrato delle Contrade per uscire con un comunicato è quello giusto? O, in caso contrario, quando sarebbe dovuto intervenire? E in che termini?
Il Magistrato ha fatto bene a intervenire ora, con parole misurate ma chiare. Ha colmato un vuoto che si era creato, e che avrebbe dovuto essere riempito da altri. In assenza di una presa di posizione da parte dell’Amministrazione, è toccato al Magistrato assumersi la responsabilità di parlare a nome non solo delle Contrade, ma della città intera.
Adesso spetta al Comune raccogliere quel messaggio e trasformarlo in una visione amministrativa e culturale. Non basta condividerlo formalmente: occorre dargli continuità attraverso atti concreti e una visione generale capace di tenere insieme la salvaguardia della tradizione, la gestione ordinata del presente e la tutela di un bene collettivo come il Palio.
Dall’episodio oggetto della sentenza della magistratura sono trascorsi sette anni e due amministrazioni comunali. Ma già nel 2015 era stato avviato un procedimento analogo (con assoluzioni e pochi pagamenti di pene pecuniarie), e di amministrazioni comunali siamo a tre: in dieci anni è stato fatto qualcosa di reale?
No, non abbastanza. Si è preferito aspettare le sentenze, le polemiche, i titoli di giornale, invece di costruire una riflessione seria, documentata, condivisa su come il Palio potesse essere difeso e al tempo stesso compreso nel tempo in cui viviamo. In dieci anni si sono alternate figure diverse, ma la linea è stata la stessa: cautela, attesa, e a volte un malinteso senso dell’autonomia che ha finito per isolare il Palio invece che proteggerlo.
La sentenza del 2023 avevamo sperato avesse fatto giurisprudenza: non è stato così?
Non è stato così, e forse era ingenuo pensare che una sentenza da sola potesse cambiare il quadro. Le sentenze servono a chiudere vicende giudiziarie, ma non colmano i vuoti di pensiero politico e culturale. È mancata un’elaborazione collettiva, sono mancati strumenti interpretativi solidi. Senza un contesto condiviso e riconosciuto, ogni nuova vicenda riparte da zero.
Lei parla di “deriva omologante”. Ci spiega meglio cosa intende? Chi o cosa sta omologando il Palio?
Il Palio rischia di essere trattato come un prodotto, non come un patrimonio vivo. La deriva omologante è il rischio insito nella proposta di un Museo del Palio, per fortuna al momento abbandonata, che può trasformarlo in spettacolo per turisti, in contenuto “fruibile”, in immagine da vendere. Chi ha la responsabilità di proporre o sostenere iniziative del genere deve avere molta attenzione, perché anche con le migliori intenzioni si può scivolare verso una semplificazione che svuota il senso profondo del Palio.
Omologa chi vuole fare del Palio un’esperienza compatibile con gli standard dell’intrattenimento globale. Ma il Palio non è compatibile con nulla: o lo si accoglie per ciò che è, o lo si perde.
Il rischio vero oggi è la perdita della tradizione o l’incapacità di aggiornarla con autorevolezza?
Il rischio è duplice: perdere la tradizione e, al tempo stesso, non saperla rinnovare. Perché una tradizione non è immobile, ma vive solo se è capace di parlare al presente. Aggiornarla però non significa edulcorarla o renderla “presentabile” per altri contesti: significa interrogarla con profondità, far emergere i suoi significati e agire con responsabilità e coraggio. Servono figure autorevoli, non compiacenti.
Il sindaco ha parlato dopo il documento del Magistrato delle Contrade, dicendo che si allineava a quelle parole: è questa la giusta procedura?
No. Il sindaco ha un ruolo istituzionale che impone di essere il primo a prendere parola, non l’ultimo. L’allineamento va bene per la diplomazia, non per l’amministrazione della cosa pubblica. In casi come questo si chiede visione e autorevolezza. Un sindaco deve saper dire da che parte sta prima ancora che lo dicano gli altri. Deve prendersi la responsabilità di fare sintesi tra esigenze diverse, non fare da portavoce.
Lei è stato sindaco in un altro momento delicato del Palio. È stato anche denunciato. Nella situazione attuale come si sarebbe mosso se fosse stato primo cittadino?
Vero, ma vorrei ricordare come reagimmo allora: non adottando i valori dell’incomprensibilità agli estranei, dell’orgoglioso isolamento, della retorica dell’invidia. Al contrario, mettemmo insieme intellettuali, opinion maker nazionali e internazionali, figure cittadine, le Contrade, le istituzioni culturali. Insomma, un’intera comunità.
Fu un’azione collettiva, coraggiosa, costruita con metodo e responsabilità. Vorrei citare, tra gli altri, il ruolo prezioso e partecipe di Mario Luzi, che accettò di essere voce poetica e civile in un momento difficile. Ma non fu solo: creammo un fronte ampio, plurale, consapevole che il Palio non è solo corsa o regolamento, ma identità viva, storia, linguaggio. E che appartiene, come cultura immateriale, al Paese intero.
Se oggi fossi sindaco, farei lo stesso: parlerei subito e costruirei un’alleanza culturale e civica, perché non si tratta semplicemente di difendere il Palio. È qualcosa di più: è riconoscerne il valore profondo, metterne in luce il significato, farne vivere la complessità.
Un modo anche per mettere a tacere – ridicolizzandoli con la forza della cultura e della storia – coloro che ancora pensano, o fingono di pensare, che il Palio possa essere fermato.
E allo stesso tempo un’occasione per crescere anche all’interno: per tornare a riflettere su ciò che il Palio rappresenta davvero, con le sue tensioni, le sue regole non scritte, le sue anomalie – che non sono un difetto, ma parte viva della sua autenticità.
Al di là delle parole, quali sono le azioni concrete che un sindaco può fare? E quali i dirigenti delle Contrade?
Un sindaco può e deve fare molto. A partire dalla costruzione di una cornice normativa che riconosca la specificità culturale del Palio, tutelandolo nel rapporto con lo Stato, la magistratura, gli organi di controllo e le autorità preposte. È un bene culturale, anche se immateriale, e come tale va riconosciuto, protetto e valorizzato secondo quanto già previsto dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. Altre realtà hanno seguito questa strada, ottenendo forme di tutela più solide e consapevoli.
Serve un confronto serio con il legislatore nazionale, il sostegno a percorsi di ricerca, documentazione e mediazione, ma anche la creazione di condizioni che permettano una tutela preventiva dei contradaioli. Non attraverso slogan, ma con il coinvolgimento di esperti, alleanze istituzionali e un dialogo costante con i dirigenti di Contrada.
In passato, in un momento altrettanto complesso, ho potuto contare sull’aiuto prezioso della Commissione Palio, che lavorava in modo permanente, non ad hoc, con una visione generale e condivisa. Uno spazio stabile di confronto e progettazione, capace di affrontare le questioni prima che esplodessero.
Anche i dirigenti delle Contrade devono fare la loro parte. Non basta gestire gli equilibri: occorre assumersi la responsabilità di prendere parola, con coraggio e visione, nelle sedi adatte. La tradizione vive solo se viene interpretata in modo consapevole. Altrimenti rischia di ridursi a una messa in scena inoffensiva, svuotata della sua forza civile, storica e simbolica.