Le condizioni di Calenda sì al Pd senza ex 5S e Fratoianni nei collegi
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31 Luglio 2022Caccia ai Cinque Stelle esclusi dal vincolo dei mandati, gli ultimi big fuoriusciti verso la candidatura nei dem. Per altri, come Spadafora e Castelli, c’è l’alternativa: un posto con Di Maio dopo l’accordo con Tabacci
Visto che ha fatto suo il metodo bersaniano delle metafore – «occhi di tigre», «le tinte forti di Van Gogh» – si potrebbe dire che per il segretario del Pd Enrico Letta Roberto Fico è il pesce grosso, il marlin che il vecchio di Ernest Hemingway insegue nel mare aperto. Letta-Santiago sta lavorando per convincere il presidente della Camera, tagliato fuori dalla scure di Beppe Grillo sul terzo mandato, a candidarsi nelle file del Pd o esserne comunque affiliato. Il corteggiamento è partito. Se ne stanno occupando gli uomini del leader dem che lavorano a imbarcare fuoriusciti e ad allargare la galassia del centrosinistra. L’operazione adesso punta ai volti mediaticamente più appetibili tra i dannati grillini al secondo mandato, i più spendibili a sinistra, tra coloro che sono a fine corsa nel M5S. Il senso è chiaro e Letta lo ha condiviso con più persone: la cooptazione di ex 5 Stelle, soprattutto chi è stato un fedelissimo di Giuseppe Conte, serve «a dimostrare che il campo progressista rimane il nostro». Il M5S, nelle intenzioni di Letta, resterebbe una ridotta di Conte, «con Michele Santoro e chiunque voglia seguirlo». In fondo, è il secondo tempo dell’operazione svuota-M5S, che dopo la scissione il ministro Luigi Di Maio con la complicità di dirigenti del Pd, ha portato avanti per evitare che si consumasse la rottura della maggioranza che sosteneva Mario Draghi.
La crisi alla fine non è stata scongiurata, il fronte Letta-Conte si è frantumato un minuto dopo la non-fiducia al governo, e adesso il leader Pd naviga in cerca degli alleati più utili a fermare la destra. Il voto anticipato avevano compattato ed eccitato i 5 Stelle, convinti della ricandidatura: Paola Taverna, Vito Crimi e gli altri si erano persuasi che il poco tempo a disposizione per riorganizzare il partito prima delle elezioni li avrebbe favoriti, aiutandoli a far saltare il tetto ai mandati. Poi è arrivato Grillo a spegnere l’illusione. E ora il Pd potrebbe approfittarne.
Nel Movimento la delusione è tanta. Al momento, Fico ha confermato a Conte che sarà al suo fianco in campagna elettorale. Nel Pd comunque intravedono una breccia. Convinti che l’abbia aperta Federico D’Incà, ministro dei Rapporti con il Parlamento, tra i grillini più vicini al presidente della Camera, che ieri, assieme a Davide Crippa, capogruppo a Montecitorio, ha detto addio al M5S dopo quindici anni. Il tempismo non è stato dei migliori, visto che se ne sono andati 24 ore dopo la certificazione del no di Grillo alle deroghe sul terzo mandato. Ma lo strappo era meditato da giorni, dall’astensione ordinata da Conte durante il voto di fiducia in Senato. I due ex grillini hanno entrambi un accordo con il Pd. Saranno in lista nel centrosinistra. E tra i dem c’è chi crede che la scelta di D’Incà possa spingere ad altre uscite eccellenti. Per Fico c’è una questione di quale ruolo avere ora, e, in qualche modo, di status. Anche vicino a Conte si respira l’imbarazzo quando si parla del suo futuro, del fatto che resterà presidente del comitato di garanzia del M5S e si accenna a un suo possibile incarico nella scuola di formazione del Movimento. Poco, pochissimo per un presidente della Camera uscente, che non verrà rieletto e si troverà esiliato dalla politica. C’è un precedente, che i tessitori del Pd ricordano: Laura Boldrini, ex numero uno di Montecitorio, eletta con Leu e poi passata ai dem. Fico avrebbe il profilo e la storia per essere accolto in quota Verdi e Sinistra, altra punta della coalizione.
La fatica del reclutamento è il cuore della missione impossibile di Letta. E il segretario non nasconde le difficoltà rispetto al centrodestra: «Stiamo cercando di costruire un progetto» ha detto ieri. In attesa di altri grillini, ne faranno parte Di Maio e Bruno Tabacci. Ieri il ministro e il sottosegretario centrista hanno ufficializzato l’accordo che permetterà a Di Maio di agganciarsi al simbolo di Centro democratico ed evitare di raccogliere le firme necessarie alla presentazione delle liste per i partiti che non hanno rappresentanza in Parlamento. Il lancio della proposta è atteso per domani: «Sarà un’evoluzione di Insieme per il futuro», spiega Di Maio, aperta ai sindaci dei piccoli Comuni, nella speranza di sfruttare il loro radicamento nel territorio. L’ex capo politico del M5S punta a un difficile 3%, che in coalizione permetterebbe di ottenere autonomamente seggi alle Camere. Se così non sarà i voti – ma dovrà prendere sopra l’1% – andranno distribuiti tra gli alleati, cioè a favore del Pd. In cambio i dem garantirebbero collegi uninominali per Di Maio, Vincenzo Spadafora e Laura Castelli. A Letta, resta da capire dove Carlo Calenda porterà Azione, se sarà alleata del Pd o andrà da sola, gonfiando petto e sondaggi. Molto del futuro del campo largo dipende da lui.