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Il retroscena
di Maria Teresa Meli
Gli amministratori locali nervosi. E il governatore: accordi non rispettati
ROMA Malcontento, rabbia, amarezza: gli amministratori locali del Pd sono in rivolta per le «decisioni prese da Roma». Ma anche nel partito e nei gruppi parlamentari serpeggia una forte insoddisfazione per il voto che ieri ha bocciato la possibilità di un terzo mandato dei presidenti di Regione. Poi ognuno declina la propria scontentezza a modo suo. Chi con parole misurate, chi con toni ultimativi.
I senatori dem si erano lasciati mercoledì con l’idea di non partecipare al voto. Del resto l’istituzione, nell’ultima direzione nazionale, di un gruppo di lavoro sul tema del terzo mandato era apparsa come una piccola apertura della segretaria. Ma ieri il capogruppo Francesco Boccia ha convocato il gruppo alle 7 e 30 e ha annunciato che la linea era quella di votare «no». Una volta appurato che i 5 Stelle non accettavano di non partecipare al voto, come ipotizzava il Pd, la decisione è stata presa dalla stessa Elly Schlein per «dare un’immagine di compattezza delle opposizioni e di divisione della maggioranza». «Una scusa per seguire ancora una volta Conte e il M5S, visto che in realtà l’opposizione è andata in ordine sparso» commenta sarcastico un senatore.
Nella riunione un terzo del gruppo dem si è schierato contro la scelta annunciata da Boccia. Tra questi Alessandro Alfieri: «Sono amareggiato perché in questo modo si delegittima chi lavora ogni giorno per unire». A chiudere la discussione è stato Dario Franceschini: «Ma siamo matti? Si vota tra tre giorni in Sardegna, non possiamo dividere il fronte che lì si presenta unito».
Stefano Bonaccini non ha gradito un voto che appare come un altolà all’ipotesi di un suo terzo mandato: «Ne parleremo dopo le elezioni in Sardegna, perché non possiamo fare finta di niente e lasciar cadere la cosa, qui non sono stati rispettati gli accordi, qui c’è chi lavora per cercare di tenere il Pd unito e chi invece non ha questo obiettivo», dice ai suoi.
Dopodiché il governatore dell’Emilia-Romagna detta una nota che viene attribuita a fonti di «Energia popolare», in cui si esprime «forte disappunto» per quanto è avvenuto. «Non è stato rispettato l’accordo preso in direzione e non si è salvaguardata l’unità del partito», è l’atto d’accusa. È finita l’era della collaborazione con Schlein, avvertono i riformisti dem. Nel frattempo la chat dei sindaci dem è a dir poco in subbuglio. Chiedono ad Antonio Decaro di intervenire come Anci (cosa che lui fa, sottolineando che «i diritti degli elettori di 730 Comuni sono ostaggio di uno scontro di Palazzo»). Il voto viene visto come uno schiaffo a Bonaccini, Emiliano e De Luca (il quale, però, è solito dire che il terzo mandato lo può fare «pure se il Pd non vuole») ma anche come un no ai primi cittadini.
«Non hanno nemmeno interpellato il gruppo di lavoro, non hanno voluto dare una sponda alla Lega. È stato un errore», si lamenta il sindaco di Pesaro Matteo Ricci. Quello di Prato, Matteo Biffoni, è furioso: «Le forze politiche, a partire dalla mia, faranno fatica a spiegare ai sindaci, cioè a chi ha vinto anche quando i partiti andavano male, il perché di questa scelta. Faccio fatica a pensare che tutti i sindaci d’Italia che si sono espressi sui mandati siano così fuori di testa rispetto a chi sta decidendo a Roma». Più misurato Dario Nardella: «L’Italia è l’unico Paese con un limite di mandati così ridotto».