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5 Maggio 2024L’Istituto Luce, fondato cent’anni fa, fu un importante strumento della propaganda fascista: oggi il suo archivio è la testimonianza più preziosa sull’Italia del Novecento
Nel numero della rivista cinematografica Lo Schermo del luglio del 1936 l’avvocato e giornalista romano Luciano De Feo raccontava di quando, nei primi mesi del 1924, con alcuni amici aveva fondato «una piccola società anonima che affrontava, più con la forza dello spirito che dei mezzi finanziari e tecnici a disposizione, un programma ricco di ambizione: dar vita nell’Italia Fascista ad un movimento di cultura a mezzo del cinema». La società che citava De Feo era quella da cui di lì a poco nacque l’Istituto Luce, considerato la più antica istituzione pubblica destinata alla diffusione del cinema (che era nato una trentina di anni prima) a scopi didattici e informativi del mondo.
Anche se la sua storia è legata soprattutto al regime fascista, di cui fu un importante se non il principale strumento di propaganda, nella seconda metà del Novecento l’Istituto Luce continuò a documentare la società, lo sport, la politica, le arti, il costume e la cultura italiana, fino a confluire nell’odierna Cinecittà. Oggi il suo lascito più notevole è l’Archivio Luce, che raccoglie più di 77mila filmati e 5 milioni di fotografie: un patrimonio che Chiara Sbarigia, presidente di Cinecittà, ha definito «la biografia visiva del nostro paese».
Tutto cominciò appunto nel 1924, quando De Feo fondò il Sindacato Istruzione Cinematografica (SIC), «una società di produzione e diffusione di pellicole documentarie di cultura generale, istruzione scolastica e propaganda», spiega il sito dell’Archivio. Come scrisse De Feo sempre su Lo Schermo, il SIC venne segnalato a Benito Mussolini; nell’estate dello stesso anno fu girato il suo «primo completo reportaggio cinematografico» a Napoli, e al tempo stesso vennero organizzate «le prime visioni popolari, gratuite, in piazza». Tra queste c’era Dove si lavora per la grandezza dell’Italia, in cui proprio il fondatore del partito fascista veniva ripreso mentre lavorava alla sua scrivania nella sala della Vittoria a palazzo Chigi il 27 luglio del 1924.
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Nel settembre successivo il Sindacato trasformò il suo nome in L’Unione Cinematografica Educativa, da cui deriva l’acronimo L.U.C.E. (o Luce), che sempre secondo il resoconto di De Feo fu deciso proprio da Mussolini. A novembre uscì il primo filmato di propaganda dell’Istituto: Aethiopia, un resoconto sulla spedizione nel paese africano, di Guelfo Civinini. E poi Vita Nova, che De Feo definì «il primo grande film di celebrazione fascista, che si dava nelle piazze di tutta Italia». Entrambi erano senza sonoro.
Con il regio decreto-legge pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 5 novembre del 1925, la società divenne ufficialmente un ente pubblico parastatale: “L’Istituto Nazionale LUCE per la divulgazione e la cultura a mezzo della cinematografia”.
Il regime fascista diede quindi all’Istituto il sostegno necessario per svilupparsi e, come scrive il critico cinematografico e storico del cinema Gian Piero Brunetta, questo «in cambio ne celebrò subito i fasti […] lo spirito di conquista, la costruzione dei riti e dei miti»: soprattutto quello di Mussolini, desideroso di ottenere visibilità e rilevanza internazionale. Grazie al Luce, continua Brunetta, Mussolini e il fascismo «riuscirono a costruire quotidianamente una sorta di monumento celebrativo per immagini in onore del duce e delle sue imprese»: dapprima con i cinegiornali, il primo dei quali prodotto nel 1927, e poi attraverso un’imponente quantità di documentari, corti e lungometraggi, tutti con uno stile narrativo enfatico e immediatamente riconoscibile.
Tra le altre cose l’Istituto documentò i funerali della regina Margherita di Savoia nel 1926, il giro d’Italia nel 1927 e gli incontri ufficiali di Mussolini, come quello con Adolf Hitler a Monaco nel 1940. Produsse filmati per insegnare l’igiene ai bambini e documentari sulla lavorazione del vetro di Murano, ma anche sulla costruzione di infrastrutture da parte del regime fascista, tra cui l’ospedale Costanzo Ciano di Livorno, e su imprese di vario tipo, come la trasvolata dell’oceano Atlantico di Italo Balbo. Produsse poi lungometraggi come Scipione l’Africano o Camicia nera, che fu girato nel 1933 per celebrare i dieci anni dall’avvento del fascismo in Italia.
Dal 1937 l’Istituto fu controllato dal ministero della Cultura popolare (Minculpop), il nuovo organo di propaganda del regime. Poi, con il tentativo di ritorno alle origini del fascismo della Repubblica di Salò, tra il 1943 e il 1945, cominciò una fase di declino in cui, più che alla guerra, dava rilievo a cronache sportive o mondane.
Come ricorda sempre Brunetta, con l’istituzione della Repubblica nel 1946, la fondazione di nuove testate e la diffusione della televisione, in particolare, i contenuti dell’Istituto divennero obsoleti, anche perché «lo si identificava come il più rappresentativo detentore della memoria del regime e del consenso degli italiani». Nel 1947 fu messo in liquidazione, ma un’apposita legge gli permise di continuare ad avere i suoi laboratori di sviluppo e stampa e, soprattutto, di continuare a produrre cinegiornali e documentari, con cui raccontò la vita e la cultura dell’Italia del cosiddetto “boom economico”, così come gli eventi storici più significativi del tempo.
L’archivista e storica Letizia Cortini, esperta di storia dell’audiovisivo, osserva che l’Istituto Luce subì una «lenta progressiva ricostruzione», come d’altra parte tutte le istituzioni e gli enti pubblici e privati del periodo fascista. Grazie ai cospicui finanziamenti stanziati dal Consiglio dei ministri per il suo rilancio, continuò con i suoi documentari «a crescere e a propagandare le attività del governo», scrive Cortini, per poi cominciare «a rappresentare il nuovo spirito di ricostruzione economica, le imprese, le innovazioni tecnico scientifiche, industriali realizzate dallo Stato». Dal 1949, anche in seguito all’approvazione di una legge presentata dall’allora sottosegretario alla Cultura Giulio Andreotti che regolamentò il settore, gli studi tornarono a essere usati per nuove produzioni cinematografiche grazie ad accordi di coproduzione con la Francia e all’arrivo di società di produzione statunitensi.
Grazie al successo internazionale di La grande Olimpiade, il documentario di Romolo Marcellini sui Giochi Olimpici di Roma 1960, l’Istituto cominciò a dedicarsi in particolare alla produzione di film d’autore e film per ragazzi, tra cui Incompreso (1966) di Luigi Comencini e Il cavaliere inesistente (1969) di Pino Zac. Nel 1962 si trasformò in società per azioni e in seguito investì sia su giovani esordienti, sia sulla sperimentazione e sulla distribuzione, oltre che su una politica di acquisizione di collezioni private e fondi audiovisivi che lo resero il più grande archivio fotocinematografico italiano.
L’Istituto Luce produsse, coprodusse o distribuì per esempio alcuni lavori di Pupi Avati, Marco Bellocchio, Mario Monicelli, Ettore Scola e Francesca Archibugi, ma anche di autori internazionali, come Claude Chabrol, Otar Ioseliani e Theo Angelopoulos. Nel 2004 ha distribuito Private, il primo lungometraggio di Saverio Costanzo, e nel 2011 Corpo Celeste, il film d’esordio di Alice Rohrwacher. Nel 2016 invece ha coprodotto Fuocoammare di Gianfranco Rosi, vincitore dell’Orso d’oro al Festival del cinema di Berlino e candidato agli Oscar come miglior documentario.
Nel 2011 l’Istituto è confluito in una nuova società pubblica, chiamata Istituto Luce Cinecittà, che dal 2021 è diventata Cinecittà SpA, con socio unico il ministero dell’Economia. Oltre a occuparsi di produzioni cinematografiche e televisive per conto del ministero della Cultura, la società gestisce l’Archivio Luce, che nel 2013 è stato inserito nel registro Memoria del mondo, il programma dell’Unesco pensato per censire e tutelare il patrimonio documentario dell’umanità.
In occasione del centenario Cinecittà ha prodotto un film a episodi intitolato Cento anni di Luce, che riguarda i classici temi della commedia all’italiana, come truffe, amori, tradimenti e persone in vacanza, ed è composto da otto cortometraggi girati da otto registi diversi, tra cui Edoardo Leo, Susanna Nicchiarelli e Sydney Sibilia. Chora Media ha prodotto un podcast intitolato Luce e Controluce, che approfondisce grazie al materiale dell’archivio temi come la casa, la cucina, lo sport e il sesso, mentre al Teatro 18 di Cinecittà ci sarà una mostra-evento curata dall’artista Quayola.
Per trenta settimane invece torneranno al cinema 15 film di culto distribuiti dall’Istituto, come Dancer in the dark di Lars Von Trier, con Björk, Memento di Christopher Nolan o Pane e tulipani di Silvio Soldini. Verranno pubblicati anche brevi filmati che in parte ripercorrono la storia dell’Istituto stesso e in parte illustrano scene di vita quotidiana nell’Italia dagli anni Venti ai Sessanta.
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