Talvolta nel momento in cui stai per aggredire il bianco tremendo della pagina vuota, proprio come in questo caso, puoi provare un senso di fatica quasi insopportabile nel voler dire di un libro – davvero recente – che s’insinua come una lama impietosa nel favoloso mondo delle arti belle e dei suoi intricati movimenti con andante di commedia.
È il libro che Luca Beatrice ha lasciato come documento palpitante prima di andarsene troppo presto, uno studio che pare una testimonianza malinconica (malinconia attiva s’intende!) delle molteplici, e talvolta inemendabili, criticità dell’Artworld, l’universo imperfetto che ha sovrastato la sua stessa esistenza nel dire di glorie, trionfi, cadute, lati oscuri di arte e di artisti sospinti su strade che sovente non mostrano ritorni o direzioni certe verso un futuro influente e praticabile.
Già nel passato sono stati i trend-setter, artisti venditori di sé stessi, divi contemporanei trasmutati in star a essere studiati da Beatrice affascinato dal viaggio alla scoperta dell’artista rockstar, di quelli che si sono tuffati a capofitto nel mondo dei mass-media in controtendenza rispetto alla visione romantica che li voleva come figure pure e ispirate, incapaci di uscire dal proprio isolamento. In quegli anni, Beatrice è sicuro che «l’artista per sopravvivere allo strapotere dei media deve essere in grado di lanciare la sfida». I personaggi sono Dalí, Warhol, Basquiat, Koons, Hirst, Cattelan e non è roba da poco. Il suo libro POP lo racconta con delicata ironia e persino un po’ di cattiveria.
Stile di vita e intuizioni eclettiche popolano il mondo di Luca escludendo de facto l’idea di arte e di critica d’arte come territorio esclusivo, direzione obbligata per essere parte attiva del variegato universo della comunicazione e dell’estetica tutta. Un turbine d’interessi invece popolano i suoi libri e ci dicono di arti visive che incontrano il POP ma anche di Sex. Erotismi nell’arte da Courbet a YouPorn. Pongono domande acute per sapere Da che Arte stai?, un’occasione per Lezioni sul contemporaneo e ancora sanno parlare di Censure ma anche di Lucio Dalla, Renato Zero e persino di Canzoni d’amore e di Vite come racconti provinciali dell’arte italiana e davvero di tanto altro.
Adesso è l’ora della Commedia dell’arte, dove la curiosità di Luca Beatrice ha da fare con lo sguardo critico dietro le quinte del contemporaneo tra musei, mercato e provocazioni.
Logico partire da Comedian l’opera-banana che Cattelan espone ad Art Basel di Miami e che Beatrice non esita a considerare una «ferita inflitta a un sistema che deve cambiare» un sistema immaginato all’orlo della sopravvivenza. L’opera di Cattelan venduta subito da Sotheby’s New York per 6,2 milioni di dollari a Justin Sun, collezionista fondatore della piattaforma Tron, che dichiara trattasi di un’opera «che connette i mondi dell’arte, dei meme e delle comunità delle criptovalute e diventerà parte della storia».
Beatrice ha l’impressione che l’arte del Novecento abbia detto tutto e che la cultura visiva attuale si muova sulla scorta di argomenti di natura cronachista come ambientalismo, migrazioni, neofemminismo, intersessualità, senza quindi la possibilità di realizzare opere epocali. Gli artisti sembrano occuparsi solo di piattaforme, residenze, seminari e quasi mai di mostre, musei, gallerie, collezioni. L’idea dell’autore è che si sia un nuovo presente da capire per non essere travolti.
Subito «Goodbye Novecento» e le geografie del politicamente corretto. Intorno al 2000 scoppia la bolla dell’arte cinese, pura speculazione, da poco quella dell’arte africana con opere subito mutate in investimenti sicuri. L’arte si espone ai rischi connessi all’infinita apertura del web e lo fa con una mostra del 1989 a Parigi che Beatrice considera però rivoluzionaria «Les Magiciens de la Terre», considerata apripista a una vera e propria famiglia di mostre capaci di introdurre temi come il multiculturalismo, inclusione, globalizzazione.
È la Biennale di Venezia che incarna però lo Zeitgeist e dal 2022 «riparte nel segno del neofemminismo» Cecilia Alemani allestisce la mostra «Il latte dei sogni», fatta da 191 donne e una grande percentuale di artiste defunte. Tradito lo spirito del contemporaneo con l’idea di un presente poco interessante. Nel 2024 sarà «la Biennale del Batik», la mostra «Stranieri Ovunque» di Adriano Pedrosa che si definisce il primo curatore queer. «Non è indispensabile dire con chi si va a letto», scrive Beatrice.
Ruolo chiave per lo statuto dell’arte è oggi il museo. Nato per la conservazione del passato è ora imprenditore del futuro e pone il drammatico quesito: può esistere l’arte al di fuori del museo visto che senza il suo imprinting quasi non si ha arte?
Intanto, si parla di Street Art e di graffitismo quasi sempre luoghi del conformismo mutuati dagli originali degli anni 80 e dal Times Square Show di New York colmo di opere di Basquiat, Haring, A-One per scivolare presto nel pernicioso ambito dell’arte pubblica considerata una «contraddizione contemporanea», qualcosa che è sotto gli occhi di tutti. Imbarazzo e ironia per il monumento al Parmigiano Reggiano di Bibbiano e a quello del Basilico o del Tonno e dell’Oliva Taggiasca che stanno però in ottima compagnia con opere imbarazzanti di artisti ben noti. Ma, si sa, la contestazione dilaga fra demagogie d’ogni colore e pretesti ridicoli. Atti vandalici come martellate alla Pietà michelangiolesca, acido solforico su Rembrandt, colpi di pistola su Leonardo, benzina e fuoco per Raffaello. Siamo ora al comico dei gesti di presunti ecovandali.
Sono zuppe di piselli per Van Gogh o sugo di pomodoro con purè di patate per Monet cucinati da gente che parla di «Extinction Rebellion» o «Declare Emergency», ecovandali eroici che urlano parole in libertà. L’arte, dice Beatrice, può però bucare solo se ha da fare con argomenti in sé provocatori come il sesso, la politica, la religione, l’osceno e in particolare la morte. È ora di tornare alla Commedia dell’arte a quella settecentesca basata su copioni definiti, interventi comici e tutto il resto legato all’improvvisazione (commedia all’improvviso) materia fatta per allietare lo spirito, promuovere la risata e il sorriso. Dunque niente a che fare con l’arte. Questa di Luca Beatrice è una commedia scritta in toni malinconici vicini all’idea baudriardiana della nuova logica di produzione della cultura e dei destini dell’arte, bulimica allo spasimo ma avviata verso il suo vanishing point e alla sua simulazione assoluta.