Il padre delle difese israeliane e la teoria dell’attacco preventivo per attutire il colpo
Un attacco condotto da Hezbollah con tremila razzi contemporaneamente sarebbe pazzesco». Uzi Rubin, il padre del sistema di difesa missilistico israeliano, lo ha ripetuto in continuazione: nessuna barriera sarebbe in grado di fermare un’offensiva del genere. Rubin ha 87 anni ma continua a studiare le minacce contro il Paese in cui è nato e ha più volte sostenuto la necessità di un raid preventivo: «Anche se non si riuscisse a distruggere tutte le batterie, si può ridurre l’impatto e far sì che ne lancino di meno». Come sempre, le parole dell’uomo che dal 1991 ha lavorato per realizzare prima Iron Dome, poi la triplice cupola protettiva di Israele, sono state profetiche. L’operazione partita ieri mattina poco prima delle cinque, con un centinaio di caccia in azione sul Libano meridionale, rende concreta la sua strategia: senza una spada, non c’è scudo in grado di bloccare il volume di fuoco di Hezbollah. Mentre Hamas il 7 ottobre ha colto di sorpresa l’intelligence dello Stato ebraico, da almeno sei anni l’allerta sul Fronte Nord è massima. Una rete di satelliti, droni, aerei, sensori, informatori sul terreno sorveglia ogni passo delle brigate sciite. Gli uomini di Nasrallah lo sanno e hanno imparato a nascondere le rampe dei razzi: sono invisibili fino al momento di entrare in azione.
L’altra notte intercettazioni e movimenti sul terreno hanno trasmesso ai vertici delle Israeli Defence Force la convinzione che l’ora X fosse arrivata. Di più: uno degli obiettivi su cui si stavano concentrando gli ordigni erano proprio il cuore degli apparati di sicurezza: il quartiere generale di Gilot, non lontano da Tel Aviv. Quella era “la finestra di opportunità” per colpire, l’unica in cui cogliere i nemici allo scoperto. In pochi minuti F16, F35 ed elicotteri Apache hanno raggiunto gli obiettivi appena individuati, bombardando 40 località diverse: in ognuna avrebbero distrutto due-tre batterie di razzi. I rari video disponibili mostrano lo scoppio delle bombe a guida laser ed esplosioni minori, che testimoniano la presenza degli ordigni. Quanti? Si parla di circa 100 lanciatori disintegrati, per un numero di ordigni che oscilla tra 1200 e 3000.
Hezbollah non ha rinunciato alla rappresaglia, scagliando circa trecento razzi contro lo schermo di Iron Dome mentre venti-trenta droni l’aggiravano sorvolando il mare per puntare sulle città della costa.
La ricostruzione ufficiale della battaglia di fine agosto si chiude qui. Dietro i comunicati e la cortina della censura militare, però, ci sono aspetti incongrui e quindi anomali. Anzitutto, le vittime: soltanto due miliziani sciiti sono stati dichiarati “martiri sulla strada di Gerusalemme” ossia caduti in combattimento. Possibile che la pioggia di bombe abbia spazzato via le armi, risparmiando gli uomini? C’è chi sostiene che Hezbollah comandi via cavo il lancio dei razzi, evitando di mettere a repentaglio il personale: il loro arsenale è sterminato, valutato in almeno 150 mila munizioni, mentre gli specialisti addestrati a gestirlo sonomolti meno. Rispetto all’azione di dozzine di jet il bilancio dei morti appare però veramente riduttivo.
Così come è insolita la decisione di Nasrallah di non mettere in campo altri reparti per rispondere al blitz israeliano: proprio l’abbondanza di equipaggiamenti gli avrebbe permesso di organizzare in poche ore una seconda raffica. Invece non è stato fatto niente. Il sospetto è quello che un anonimo dirigente di Hezbollah ha riferito allaReuters , dando corpo all’ipotesi di un accordo per impedire che una guerra su larga scala travolgesse il Libano. La ritorsione per l’assassinio di Fuad Shukr, uno dei fondatori del movimento ucciso a Beirut Sud il 30 luglio, sarebbe stata ritardata per ragioni politiche e per non intralciare i negoziati sul cessate il fuoco a Gaza. Anche sull’attacco di ieri mattina ci sarebbe stato uno scambio di comunicazioni riservate, che avrebbero di fatto permesso di imbastire una colossale messinscena, tale da offrire ad entrambi i contendenti l’occasione per magnificare la loro efficienza, riducendo i danni e soprattutto soffocando il pericolo escalation. Per gli alleati libanesi dell’Iran, un paio di migliaia di razzi sono un’inezia: l’un per cento delle loro scorte.
La partita si chiude qui? Non è detto. Anzitutto, bisogna capire cosa faranno gli ayatollah che devono ancora vendicare Ismail Haniyeh, il capo politico di Hamas assassinato a Teheran. E ci sono sia all’interno di Israele che dentro Hezbollah fazioni non disposte ad accettare un’operazione simbolica, tale da conservare lo status quo. La situazione in Medio Oriente resta incandescente e lo dimostra l’ordine partito ieri sera dal Pentagono: due portaerei americane, la Lincoln e la Roosevelt, si stanno schierando nella regione.