MILANO — L’ultimo allarme arriva dal Berchet di Milano, uno dei classici più antichi e blasonati del Paese. Ma prima c’era stato il grido d’aiuto lanciato dai ragazzi di alcuni licei bolognesi — «Questo modello di istruzione ci distrugge» — e fiorentini. E a protestare non sono solo gli studenti: è una scuola che «logora i nostri ragazzi», denunciano i genitori di un gruppo di alunni del Cassini di Genova. Sono i luoghi dove dovrebbe formarsi la classe dirigente di domani, ma oggi da quelle stesse aule i ragazzi stanno scappando. L’allarme arriva da sempre più stude nti: ansia e stress non permettono di vivere serenamente la scuola, il posto in cui trascorrono la maggior parte delle giornate. E le difficoltà, in alcune situazioni, sono tali da spingere giovani e famiglie a cambiare istituto.
Non tutti i trasferimenti in corso d’anno, sia chiaro, avvengono per questo: il riorientamento è uno strumento prezioso per il benessere stesso degli allievi, ma il loro aumento è indice anche di un disagio. Al liceo classico Berchet di Milano, per esempio, i trasferimenti in corso d’anno sono sempre stati numerosi, ma quest’anno sono cresciuti: da settembre a oggi sono 56, più dei circa 50 complessivi dello scorso anno scolastico. Così gli studenti li citano per chiedere aiuto, insieme ai risultati di un sondaggio (a cui hanno risposto in 533 su 906 allievi totali) secondo il quale oltre la metà di loro (il 57 per cento) soffre di stress e ansia a causa della scuola e il 53 per cento sente una forte pressione da parte degli insegnanti.
«Ci sono delle difficoltà, in molti casi legate agli anni di pandemia, stiamo cercando di affrontarle fornendo sostegno psicologico e con un supporto maggiore di tipo didattico, per intervenire sulle competenze in modo che gli studenti rafforzino la fiducia in se stessi» spiega il preside Domenico Guglielmo, sottolineando come da settembre il Berchet abbia attivato «corsi integrativi di italiano e matematica, la possibilità di tutoraggio tra pari, e lo studio assistito con la presenza di un docente».
Ma il disagio è più profondo e secondo i ragazzi la causa non sarebbe da ricercare solo nel Covid: «Le criticità erano presenti già prima della pandemia. Ora stanno solo venendo alla luce con più forza ed è importante che siano affrontate».L’obiettivo — sottolineano gli allievi del Berchet — non è «denigrare la scuola, ma far emergere ciò che non funziona e far sì che le cose cambino». Così non puntano allo scontro, ma al dialogo con i propri insegnanti.
E fanno lo stesso anche gli studenti che in questi giorni hanno occupato i licei Minghetti, Copernico e Sabin di Bologna: tra le motivazioni citano il profondo disagio psicologico e la volontà di contrastare un sistema scolastico incapace di ascoltarli e che li fa sentire «in gabbia ». Come avevano fatto a dicembre anche gli occupanti dei licei fiorentini Michelangiolo, Dante e Rodolico. «Stiamo tutti male — affermano dal collettivo del Minghetti — la maggior parte degli alunni qui è in cura da psicologi». Tutta colpa, secondo gli studenti, di un sistema scolastico che punta troppo sul merito, non solo alle superiori ma anche all’università. E qui il riferimento è alla tragedia della studentessa della Iulm, che si è tolta la vita a inizio febbraio.
Le criticità ci sono, così come il malessere degli studenti, inevitabilmente accentuato dalla pandemia. «Credo che la strada migliore sia valutare ogni situazione singolarmente, non esiste una regola generale — dice Massimo Nunzio Barrella, preside del liceo classico Parini di Milano, dove lo scorso anno è stata avviata una discussione sul benessere psicologico, partendo da un’indagine realizzata dagli studenti — Bisogna parlare con i ragazzi e con le famiglie, cercando di affrontare il problema e non di schivarlo. È fondamentale che lo studente in difficoltà senta di non essere solo ed è decisivo il ruolo dei docenti, sia nella relazione con l’allievo sia nei rapporti tra loro: se sanno lavorare di squadra e confrontarsi il clima all’interno della classe è positivo e l’atmosfera cambia, con benefici anche per gli studenti » .
Si tratta di trovare un equilibrio. «I licei, in particolare il classico, richiedono un impegno importante e non si possono illudere gli studenti dicendo che tutto sia facile — aggiunge — I momenti di difficoltà e sconforto si possono superare insieme, tenendo però sempre presente che la priorità è la salute dei ragazzi e che il liceo non può essere vissuto come una sofferenza».
A lanciare l’allarme non sono solo gli studenti. Neanche due mesi fa lo hanno fatto alcuni genitori del liceo scientifico Cassini di Genova, che, dopo aver trasferito i figli in altri istituti, hanno raccontato le difficoltà affrontate parlando di una scuola che «logora i nostri ragazzi». Il tutto accadeva negli stessi giorni in cui il collettivo del liceo classico Manzoni di Milano diffondeva i risultati di un sondaggio compilato da 434 dei 1.014 allievi. Il 59 per cento percepiva un «clima opprimente e soffocante a scuola», il 71 per cento affermava di sentirsi sempre o spesso «sotto pressione a causa del ritmo scolastico», mentre il 61,5 per cento diceva di sentirsi «classificato solo in base ai risultati e costretto a raggiungere l’eccellenza». Anche per loro il sondaggio era un modo per chiedere maggiore dialogo.