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Sembra proprio che Liz Truss intenda a tutti i costi passare alla storia. Da poco insediata, la neoeletta premier sta introducendo una serie di misure economiche di “finanza creativa”, le cui conseguenze già si manifestano con un crollo senza precedenti del valore della sterlina. La moneta britannica era già da tempo, almeno a partire dalla Brexit, nel mirino degli speculatori, ma nelle ultime settimane grandi fondi di investimento e avvoltoi di vario tipo si sono accaniti, portando il pound a scambiarsi col dollaro a 0,93, mentre in precedenza era a 1,35. Il che vuol dire che ha perduto, in poco tempo, un quarto del suo valore, e che i bond del malcapitato nuovo re Carlo sono ormai in svendita.
Il crollo rovinoso della sterlina non è unicamente imputabile alla speculazione: si tratta anche del contraccolpo delle discutibili misure di politica economica annunciate. Truss se le è vendute come un vero e proprio “evento fiscale” di dimensioni gigantesche; ma si tratta di una ridistribuzione del reddito verso l’alto,che non si era mai vista dai tempi della Thatcher e forse di Ronald Reagan.
Il ministro dell’Economia britannico, fedelissimo di Truss, Kwasi Kwarteng, ha confermato le linee generali della manovra, annunciando che eliminerà gli aumenti dell’imposta sulle società e il tetto ai bonus dei banchieri come parte del nuovo piano di crescita per rilanciare l’economia. In una dichiarazione alla Camera dei Comuni, ha illustrato un “bilancio di emergenza”, volto a contrastare l’elevata inflazione e l’aumento del costo della vita mediante un “nuovo approccio” basato su “tre priorità: riformare il lato dell’offerta, mantenere un approccio responsabile alle finanze pubbliche e tagliare le tasse per stimolare la crescita”. Nel suo discorso, Kwarteng ha affermato che il governo adotterà “misure estreme” per stimolare la crescita. Il governo Truss presenta quindi il pacchetto di tagli fiscali più radicale per il Regno Unito dal 1972, riducendo i prelievi sia sui salari dei lavoratori sia sulle imprese, nel tentativo di stimolare il potenziale a lungo termine dell’economia.
Kwarteng ha inoltre confermato il sostegno alle famiglie e alle imprese di fronte all’aumento vertiginoso delle bollette energetiche, con un costo di almeno sessanta miliardi di sterline nei prossimi sei mesi. Certo, non è stato estraneo a questa decisione anche l’enorme estendersi del movimento Don’t pay United Kingdom, che brucia in piazza le bollette. Le tensioni sociali stanno crescendo: si prospetta un autunno difficilissimo. “Abbiamo promesso di dare priorità alla crescita”, ha dichiarato Kwarteng. E ha aggiunto: “Abbiamo promesso un nuovo approccio per una nuova era”. Il ministro ha spiegato che “l’aliquota di base dell’imposta sul reddito sarà tagliata al 19% nell’aprile 2023, un anno prima (di quanto previsto)”. Ciò significherà – ha spiegato – un “taglio delle tasse per più di trentuno milioni di persone in pochi mesi” e “l’abolizione dell’aliquota massima del 45%” dell’imposta sul reddito. “Questo semplificherà il sistema fiscale e renderà il Regno Unito più competitivo” – ha dichiarato il politico conservatore, sottolineando che la misura “stimolerà la crescita e porterà benefici all’intera economia e all’intero Paese”.
Oltre a cancellare il previsto aumento dell’imposta sulle società, lasciando l’aliquota standard al 19% e rimuovendo il tetto ai bonus dei banchieri, Kwarteng ha annunciato altre misure, tra cui l’abolizione dell’aumento dell’1,25% delle imposte sulla sicurezza sociale e la riduzione dell’imposta di registro sull’acquisto di case: una decisione che ha fatto salire le azioni dei costruttori, alleggerendo l’onere per circa duecentomila acquirenti di casa all’anno. Sono previste anche misure per ridurre le limitazioni previste dalle norme della pianificazione territoriale, “schiudendo finalmente la via in Gran Bretagna alle costruzioni”.
Il piano prevede anche la creazione di nuove “zone di investimento”, con minori regole e meno controlli per chi apre un’attività. L’obiettivo, ambiziosissimo, è che l’economia britannica cresca del 2,5% all’anno, un livello che peraltro non viene raggiunto da oltre un decennio. Le misure mirano a evitare la recessione, che però, secondo la Banca d’Inghilterra, è già iniziata, e a stimolare la produttività, che è rimasta indietro rispetto agli altri Paesi del G7. Si tratta, nel complesso, di quarantacinque miliardi di sterline in meno di entrate fiscali all’anno, di cui due terzi – trenta miliardi – andranno direttamente a finire nelle tasche del 5% più ricco del Paese, secondo l’analisi della Resolution Foundation.
A ciò si aggiunge uno stimolo altrettanto storico: circa centotrenta miliardi di sterline all’anno, nelle previsioni più ottimistiche, per congelare le bollette elettriche pagate da cittadini e imprese. Una mossa necessaria per evitare una crisi energetica distruttiva, ma che non fa altro che aumentare il debito pubblico: il Tesoro emetterà quest’anno più di settantacinque miliardi di sterline in obbligazioni aggiuntive, una cifra esorbitante.
Le reazioni alle misure prospettate sono state energiche: il Labour ha parlato di “scommessa disperata”, e molti economisti temono che il pacchetto inneschi una crisi valutaria, poiché gli investitori si rendono conto che l’onere del debito del Tesoro continuerà a crescere. “Si tratta del più grande taglio delle tasse dal 1972” – ha spiegato Paul Johnson, direttore dello Institute for Fiscal Studies, in un tweet. E ha aggiunto, facendo riferimento al 1972: “Quella manovra di bilancio è passata alla storia come la peggiore dei tempi moderni. Spero davvero che questo intervento vada a finire meglio”. Dan Hanson di Bloomberg Economics ha avvertito che “dato che è improbabile che i tagli fiscali, da soli, raggiungano l’obiettivo che si prefiggono, la nostra preoccupazione è che il pacchetto finisca per mantenere l’inflazione al di sopra del 2% più a lungo e spinga le finanze pubbliche su un percorso insostenibile”.
Certo, Truss e il suo ministro delle Finanze non sono rubricabili a semplici politici conservatori, nel senso che non si limitano a una gestione dell’esistente, a far quadrare i conti e a vivacchiare, come facevano i loro predecessori. Il loro riferimento ideale parrebbe piuttosto Ronald Reagan, che approfittò di un periodo di ripresa economica e di crescita globale, dopo le crisi degli anni Settanta, per tagliare le tasse e stimolare l’economia con il debito, conducendo al tempo stesso una spietata guerra contro i poveri. Il primo ministro e il cancelliere dello Scacchiere hanno scritto, insieme, un libro nel 2012, Britannia Unleashed (“Britannia scatenata”), in cui suggerivano ricette analoghe alle attuali per salvare l’economia del Paese dalla crisi finanziaria del 2008 e dalla crescita lenta da allora registrata.
Il taglio delle tasse per i più ricchi e per le aziende dovrebbe servire, dunque, a “smuovere” e a liberare l’economia. Il problema è che la situazione economica attuale è completamente diversa da quella in cui si venne a trovare Reagan, cui i due sembrano volersi ispirare. All’epoca, le possibilità di stimolare l’economia, alleggerendo le tasse, erano molto più consistenti. E soprattutto la mossa non avvenne nel bel mezzo di una crisi energetica e con livelli di inflazione a due cifre e una guerra in corso.
Gli investitori non credono che la crescita economica creata da questo stimolo compenserà la spesa extra, né l’aumento del debito pubblico. In parte, si tratta di una profezia che si autoavvera: più la sterlina scende, più il costo del gas e del petrolio aumenta, e più il governo dovrà emettere debito per coprire il costo delle bollette.
Oltre a tutto questo, c’è lo straordinario cambiamento di politica che queste misure rappresentano: Boris Johnson aveva vinto le elezioni del 2019 promettendo più tasse per finanziare maggiori investimenti nei settori più colpiti dall’austerità post-crisi (sanità, assistenza, governo locale) e nelle zone più povere del Paese. La sua defenestrazione interna ha significato un’inversione di rotta rispetto alla politica fiscale che ha vinto quelle elezioni, e ha anche spalancato la porta a un possibile ritorno dei laburisti, che possono accusare il Partito conservatore di non avere idea delle conseguenze della avventata politica economica che sta mettendo in atto, puntando tutto unicamente sul dare più soldi ai ricchi.
In effetti, Truss, Kwarteng e altri sostenitori della Brexit sognano che un’economia finanziaria libera e deregolamentata, come quella di Singapore, potrebbe implicare un boom. Alcuni parlano addirittura di un possibile “Grande Bang 2.0” per Londra come centro finanziario. Altri, invece, temono che un’eccessiva deregolamentazione potrebbe aumentare il rischio di nuove crisi finanziarie. L’ex segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Larry Summers, ha riassunto così la situazione: “Mi dispiace dirlo, ma credo che il Regno Unito si stia comportando in modo molto negativo. Il Regno Unito si comporta un po’ come un mercato emergente che vuole diventare un mercato sommerso”.
Truss finora pare ignorare gli avvertimenti che le sono giunti persino dal Fondo monetario internazionale, preoccupato perché teme che l’azione del Tesoro in materia di tasse e spesa finisca per trovarsi in contrasto con quella della Banca d’Inghilterra in materia di tassi d’interesse, e si oppone al sostegno generalizzato che il governo sta fornendo alle bollette energetiche, preferendo che un sostegno maggiore venga destinato ai più bisognosi. La premier però fa la dura: ha annunciato di volere proseguire sulla via individuata, e di essere pronta ad adottare anche misure impopolari, se necessario, nella speranza che i risultati comincino a vedersi entro la metà del 2024, quando dovranno essere fissate le prossime elezioni.
Il problema è che le straordinarie manovre annunciate hanno ormai legato la sua carriera a un’unica carta: o lo stimolo funziona, e le sue teorie passeranno alla storia come la decisione giusta al momento giusto, oppure il Partito conservatore rischia di passare molti anni all’opposizione, mentre il Labour, che per il momento ha dovuto già ingoiare i favori fatti ai ricchi e la diminuzione dei salari reali, dovrà cerca di rimediare ai danni provocati da questa politica fiscale “creativa”. Per il momento, i cannibali della grande finanza continuano a tenere d’occhio con interesse l’evoluzione della situazione: Dio salvi l’Inghilterra!