Beslan, Dubrovka, il settembre nero del 1999 a Mosca. Le riprese terribili dall’interno del centro Krokus-City fanno ricordare i momenti più neri della recente storia russa. Il ritorno del terrorismo, nel cuore della Russia, pochi giorni dopo la proclamazione di Vladimir Putin come non solo vincitore delle “elezioni” presidenziali, ma anche come dell’unico politico russo, che governa un Paese di esecutori e sottoposti, fa esplodere quella immagine di controllo totale che il Cremlino aveva proposto come una delle sue principali conquiste. Un complesso commerciale e una sala concerti che erano diventati un monumento alla nuova Mosca moderna e ricca (il Krokus-City aveva ospitato, tra l’altro, il concorso Miss Universo patrocinato da Donald Trump, che aveva avuto trattative di affari con il suo proprietario Emin Agalarov) è stato ridotto in cenere, la capitale russa è stata di nuovo ferita al cuore, le sue certezze trasformate in paure, la sua sicurezza in frantumi. Cancellati spettacoli teatrali, chiusi i cinema, rinviate le lezioni nelle università, fatti evacuare i centri commerciali, non solo a Mosca: all’improvviso, la Russia si sente in guerra.
Una guerra lontana che diventa vicina, come era accaduto anche nelle ondate di terrorismo precedenti, a opera di estremisti islamisti prevalentemente originari del Caucaso russo. Beslan nel 2004 e Dubrovka, nel 2002, e ancora prima, negli anni ’90, Budennovsk e Pervomayskoe, erano stati atti drammatici della guerra in Cecenia, prese di ostaggi di massa in un tentativo della guerriglia cecena di costringere il Cremlino a cessare i bombardamenti e trattare. Dopo che Beslan era finita in una strage degli innocenti, era arrivata una stagione di atti terroristici in senso stretto, commessi non per trattare, ma per uccidere: attentati, bombe, terroristi e terroriste kamikaze, attacchi molto simili a quelli che avevano scosso l’Europa e il Medio Oriente, in quella offensiva dell’islamismo contro un Occidente del quale anche la Russia sembrava far parte, in una causa comune contro gli jihadisti.
La scenografia della strage di Krokus ricorda tanto Beslan e soprattutto Dubrovka, la presa di ostaggi nel teatro, un altro attacco alla Mosca benestante e indifferente a una tragedia lontana. Ma a vedere le immagini dei commandos che sparano contro le guardie e il pubblico, senza – almeno da quello che si sa per ora – nessuna minaccia, rivendicazione o richiesta – viene in mente semmai la strage del Bataclan. Gli uomini entrati al Krokus non volevano negoziare o mostrare il proprio messaggio, volevano uccidere il maggior numero di persone nel minor tempo possibile, fare terrorismo nel senso più stretto della parola, seminare terrore, totalmente indifferenti a chi sarebbero state le loro vittime. Più che Beslan, o Dubrovka, l’attacco di ieri sera ricorda il raid di Hamas contro Israele, in una festa della violenza.
Resta da capire se Vladimir Putin vorrà trasformare la strage di Krokus nel suo 7 ottobre. Inevitabile la discussione sul cui prodest. I turboputiniani hanno già lanciato accuse all’Ucraina e agli Usa – l’«oligarca ortodosso» Konstantin Malofeev ha addirittura invocato un attacco atomico contro le città ucraine – e la polizia di Mosca sembrava convinta che i terroristi avessero usato un pullmino con la targa ucraina (che poi si è rivelata bielorussa). I servizi segreti di Kyiv, e i volontari russi che combattono a fianco degli ucraini, hanno immediatamente accusato le trame dell’Fsb, ricordando che «il terrore contro i civili è il vecchio metodo amato da Putin». Che il presidente russo sia diventato una star della politica promettendo di «ammazzare i terroristi nel cesso» dopo gli attentati che avevano fatto circa 300 morti a Mosca e in altre città russe è vero, così come è vero che aveva approfittato dello shock degli atti terroristici per implementare il suo programma politico, come quando nel 2004 aveva usato il dolore di Beslan per abolire l’eleggibilità dei governatori regionali. Oggi, una strage a Mosca, se attribuita agli ucraini o a dei «partigiani» russi – e che il commando del Krokus era fatto di professionisti lo si è visto dalla sua mostruosa efficacia – può sicuramente far nascere nei russi una rabbia vera, che potrebbe giustificare una nuova chiamata alle armi che molti temono come imminente. Sarebbe però anche un colpo grave all’immagine del regime, che si propone come l’unico in grado di difendere i russi dalle minacce esterne e interne, e che si fa sfuggire, in una città piena di telecamere e poliziotti, un commando armato fino ai denti che riesce a dileguarsi nel nulla. È sintomatico che ieri sera i canali tv russi avevano a lungo trasmesso film e spettacoli, invece di dare la notizia della tragedia al Krokus, e che i portavoce ufficiali dei servizi e del governo erano stati molto prudenti, in attesa di sapere a chi avrebbe attribuito la colpa Putin.