ALESSANDRO DI MATTEO
ROMA
Stavolta il richiamo non arriva da sinistra, non è un avversario politico a chiedere a Giorgia Meloni e FdI di essere chiari sull’antifascismo. È Gianfranco Fini a farsi sentire, intervistato in televisione da Lucia Annunziata a Mezz’ora in più, su Rai 3, dove si rivolge direttamente alla premier con un consiglio che assomiglia ad un rimbrotto: «Spero che Giorgia Meloni voglia cogliere questa occasione (del 25 aprile, ndr) per dire senza ambiguità e senza reticenze che la destra italiana i conti con il fascismo li ha fatti fino in fondo e senza infingimenti quando è nata Alleanza nazionale». Non è possibile, è il ragionamento, che la destra si debba ancora trovare in difficoltà per la «ritrosia» a riconoscere il valore dell’antifascismo. Va bene la «pacificazione», ma «occorre saper distinguere quale era la parte giusta e quale era quella sbagliata». E per essere chiaro Fini cita Vittorio Foa, che ad un senatore del Movimento sociale disse: «Se aveste vinto voi io sarei ancora in prigione, siccome abbiamo vinto noi lei è senatore».
L’ex presidente della Camera parla con il tono del padre contrariato, perché vede il primo governo guidato da una premier di destra in difficoltà su una questione che lui pensava di avere chiuso quasi trent’anni fa con la svolta di Fiuggi e che non si possano avere dubbi su questi temi. «Conosco Ignazio La Russa da una vita, conosco anche Giorgia da tanto tempo. Sono convinto che ne siano consapevoli». È infastidito dalle polemiche sulla Resistenza, dalle frasi del ministro Francesco Lollobrigida sulla «sostituzione etnica» che definisce «una colossale sciocchezza», da quel bisogno del presidente del Senato Ignazio La Russa di prendere le distanze dall’antifascismo.
Per questo esorta la premier: «Giorgia Meloni dica – perché so che ne è convinta! – che libertà, giustizia sociale, uguaglianza sono valori democratici, sono i valori della Costituzione, sono valori antifascisti. Non capisco la ritrosia nel pronunciare questo aggettivo. O meglio, la capisco ma non la giustifico». La capisce, spiega, perché è vero che «negli anni Settanta e Ottanta ci fu un uso strumentale dell’antifascismo». Ricorda slogan come « “uccidere i fascisti non è reato”, “le sedi del Msi si chiudono col fuoco”». È chiaro che chi viene dal Movimento sociale sia segnato da quel periodo, «Giorgia Meloni questa sensibilità ce l’ha, come ce l’avevo io». Ma, avverte, «l’antifascismo non può essere confuso con la parodia che ne è stata fatta negli anni di piombo».
Dunque, insiste citando Luciano Violante, «la destra riconosca il valore dell’antifascismo, la sinistra la smetta di pensare di avere la paternità esclusiva della Resistenza, che fu un fenomeno plurale: c’erano i Gap, Bandiera rossa, ma anche gli azionisti, i cattolici. Oggi (ieri, ndr) c’è una bella intervista di Fontana, presidente della Camera, che dice: io sono profondamente cattolico e profondamente antifascista».
Fini parla anche di alcuni temi caldi dell’azione di governo, a cominciare da quello dei migranti. Su questo di fatto difende le scelte di Meloni perché, dice, «andavano ristrette leggermente le maglie» della protezione speciale. Ma sullo “Ius scholae” rilancia: «Un ragazzino che nasce qua deve potere diventare cittadino molto prima del diciottesimo anno d’età, ma deve essere una scelta voluta». E di nuovo traspare il rammarico di chi vede che il proprio lavoro rimesso in discussione. Precisa di essere «solidamente ancorato ai valori di destra» e aggiunge: «Anche se qualcuno magari potrebbe offendersi, su certi temi Alleanza nazionale era più avanti».