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La generazione del post-Covid
La generazione giovanile «ha sofferto più di altre le conseguenze psicologiche e sociali della pandemia e mostra ora diversi sintomi di un disagio esistenziale segnato da un futuro avvolto nell’incertezza e da un presente avaro di punti di riferimento». Sono parole del cardinale Matteo Zuppi nella sua prolusione ad apertura del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana in corso in questi giorni a Roma. La Chiesa si interroga sulla sofferenza dei giovani che, come ci dice la cronaca di questi giorni, ha molti e differenti modi di esprimersi. La recente giornata sui disturbi alimentari ha fatto memoria dei moltissimi giovani che manifestano il loro disagio di fronte alla realtà con un gesto di alto valore simbolico: privandosi del cibo o ingoiandone troppo. Ed è straziante assistere all’autodistruzione di una vita, senza poter fare nulla per alleviare un dolore così grande e ingestibile da scegliere questo lento suicidio, sotto gli occhi impotenti di familiari e amici.
La salute mentale è sempre più precaria proprio tra i giovani, come ha evidenziato il convegno dell’Ufficio Cei per la Pastorale della salute sul tema nei giorni scorsi in Laterano. Qualcuno potrebbe obiettare che i giovani invece stanno benissimo, che pensano solo a star bene e a divertirsi, e vivono senza pensieri. Sono così tanti i pregiudizi sui giovani, che portano noi adulti a essere giudici spietati; proprio davanti ai nostri giudizi i giovani tanto più sono fragili tanto più tendono a mascherare quella sofferenza che pensano non possa essere capita. Spesso il modo spavaldo con cui si atteggiano serve a nascondere un dolore vissuto con pudore, nella solitudine e nella sfiducia di poter trovare qualche punto di riferimento significativo.
La solitudine è una condizione normale dei giovani, forse il prezzo che pagano per cambiamenti troppo rapidi che li distanziano velocemente dalle generazioni che li ha preceduti e che dovrebbe potersi accompagnare a essi per orientare i loro percorsi. Si muovono dentro una realtà inedita: per loro, che si affacciano ora alla vita, è tutto inedito. Ma lo è anche per i loro padri e le loro madri, che lo sono allo stesso modo dei figli, oppure vivono nell’illusione che nulla stia cambiando. Tante solitudini che non riescono a entrare in comunicazione, a farsi reciprocamente alleate per affrontare il senso della vita in un contesto in cui quasi tutto deve essere reinterpretato. Quasi tutto, anche la fede, anche il proprio mondo interiore. La recente ricerca sui giovani che hanno abbandonato la Chiesa, realizzata a opera dell’Osservatorio Giovani Toniolo, dà evidenza proprio a questo fatto: vi è nei giovani una ricerca inquieta, un disorientamento, un dolore legato proprio alla fede. Per qualcuno si tratta di una sofferenza esplicita, come nel caso di questa ragazza che dopo aver abbandonato la fede dichiara di sentirsi persa: «Adesso mi trovo un po’ persa; ci sono persone che sono perse, nel senso che non si riesce a capire in cosa credere, e questo crea ansia».
In altri giovani si percepisce una sofferenza non detta esplicitamente; il desiderio di credere cui non si riesce a rispondere positivamente e che genera un vuoto doloroso, che rende faticoso vivere in maniera serena tutte le altre esperienze della vita. Molti, più che andarsene dalla fede, se ne vanno dalla Chiesa, delusi perché in essa non hanno trovato quello per cui la comunità esiste: indicare la vita di una vita piena, realizzata, salvata. Infine, vi è la sofferenza di quei giovani che avvertono la pesantezza delle domande affrontate in solitudine, di desideri che non si sa dove collocare. La ricerca di punti di riferimento è molto più presente di quanto si immagini. Dice questa giovane ventenne: « È un rapporto che mi manca, l’oratorio, la vita comunitaria, ma al momento faccio fatica a credere a questa idea di fede. Mi piacerebbe tornare avendo delle figure di riferimento, qualcuno che mi reindirizzi in quella direzione senza costringermi, dire no, tu ricomincia gradualmente, se te la senti vieni a messa, vieni a confessarti, senza quegli obblighi stringenti. Questo mi aiuterebbe, non so se ce la farei, però un tentativo lo farei». Sarebbe disposta a riconsiderare le sue scelte religiose, ma a una condizione: avere vicino persone che la sostengano nella sua ricerca. Il dolore dei giovani, quello visibile e quello mascherato, interpella gli adulti e la loro responsabilità generativa: solo in una nuova alleanza tra le generazioni sarà possibile anche per i giovani tornare a credere nel futuro e in una vita piena e realizzata.