All’alba di domenica, nel centro tranquilla cittadina di Piacenza, un richiedente asilo della Guinea di 27 anni ha stuprato una cinquantacinquenne ucraina. Le sue grida hanno attirato l’attenzione di un residente, che ha dato l’allarme e la polizia ha arrestato l’uomo mentre la violenza era ancora in corso.
Qualcuno, però, ha ripreso lo stupro con lo smartphone e le immagini sono state pubblicate sui media. Il primo è stato il quotidiano il Messaggero, con immagini pixelate, poi è seguito il Gazzettino e poi anche Libero. Poco è servito perchè il video diventasse la polemica del giorno in campagna elettorale. Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha ripreso un frame del video e la pagina web del quotidiano locale Piacenza Today, sottolineando le parole “un richiedente asilo” ha “stuprato una donna” e ha ribadito che con lui al governo «difendere i confini e gli Italiani per me sarà un dovere, non un diritto».
La notizia, dunque, è stata girata in chiave etnica, rimarcando il fatto che l’assalitore fosse uno straniero, ma tacendo il fatto che lo fosse anche la vittima. Lo ha seguito Giorgia Meloni, che tuttavia nel suo post ha scelto di pubblicare non un fermo immagine, ma un minuto di video, preceduto dall’avviso che le immagini avrebbero potuto urtare la sensibilità e con i volti pixelati dei protagonisti. Nel suo caso, la notizia è stata utilizzata per parlare della necessità di «ridare sicurezza alle nostre città».
LE CRITICHE
Come spesso accaduto anche in passato, dunque, la cronaca diviene espediente di campagna elettorale e fatti violenti diventano il paradigma per giustificare le posizioni dei leader in campo, facendo leva sull’emotività provocata sul pubblico. Successe anche nel 2007, quando una donna venne uccisa a Tor di Quinto in piena campagna elettorale per le comunali di Roma e il tema securitario divenne il cavallo di battaglia di Gianni Alemanno, poi eletto, con il motto «più sicurezza». Si tratta di un campo definito su cui la destra si è sempre mossa con disinvoltura e che il centrosinistra non ha ancora imparato ad arginare.
Tuttavia, esiste una differenza tra la stigmatizzazione di un fatto e la scelta di mostrare le immagini di un reato odioso come la violenza sessuale. «La persona ha subito già una violenza , con questo video ne sta subendo un’altra. Se mi metto nei panni di questa donna penso che lei oggi non vorrebbe aprire internet e vedere cosa è successo», ha detto la sindaca della città, Katia Tarasconi, che ha fatto sapere che attiverà il fondo regionale per le vittime di reato, se la donna ne avrà bisogno.
Per questo Meloni è stata bersaglio di critiche, soprattutto da parte del Partito democratico. Il segretario, Enrico Letta, ha fatto un appello a rimanere «nei limiti della decenza, il video su uno stupro è indecente», la consigliera regionale emiliana Elly Schlein ha chiesto a Meloni di rimuovere i video dai social, perchè è inaccettabile che la vittima riviva la violenza «a uso e consumo di una campagna elettorale». Meloni si è difesa, dicendo che il video non rende riconoscibili i protagonisti e che quella del Pd sarebbe «bieca propaganda» contro di lei, che non ha fatto altro che rilanciare il video pubblicato da un quotidiano nazionale.
LE COLPE DELLA STAMPA
Proprio in questa risposta sta una parte del problema. Sul fronte politico ogni leader utilizza gli strumenti che ritiene e si qualifica anche per questo: Meloni ha ritenuto utile mostrare le immagini una violenza sessuale per argomentare la necessità di sicurezza nelle città e la lotta all’immigrazione. La questione, però, è a monte e nel sistema mediatico.
I giornali che hanno avuto il video ritengono che la sua pubblicazione sia garantita e rientri nel diritto di cronaca. Tuttavia, le immagini che ritraggono persone a loro insaputa è pubblicabile nel caso in cui aggiungano qualcosa alla notizia. Difficile capire che cosa il video di una violenza sessuale aggiunga che non avrebbe potuto essere solo descritto.
Di certo, l’unica aggiunta vera è l’appagamento della morbosità che alimenta subito la propaganda politica. Era facile, infatti, immaginare il tipo di strumentalizzazione che di questo video si sarebbe fatto. Come anche era una certezza – come è già stato annunciato dalla procuratrice di Piacenza, Grazia Pradella – che la procura di Piacenza avrebbe svolto indagini sulla diffusione del video.
L’interrogativo, allora, non è solo sulla responsabilità dei partiti in campagna elettorale chiesta da Letta, la qualità di una campagna elettorale così peculiare e delicata passa anche dalla responsabilità dei media. Possono – possiamo – essere un potere che vigila sulla correttezza dei partiti e spiega quel che accade nell’interesse dei lettori, solo se la distinzione tra essenzialità della notizia e circo mediatico rimane chiara. Nel caso di Piacenza così non è stato.