Ettore Sottsass
di Lorenzo Madaro
La Triennale di Milano ricorda il grande designer attraverso la scrittura, parte integrante delle opere
«Degli artisti, per conto mio, conta più la vita: come di tutti conta più la vita più che le “opere”. Tutti dovrebbero sempre raccontare la loro vita e scrivere diari immensi, anzi tutti dovrebbero soltanto vivere, voglio dire sapere di vivere » . La mostra Ettore Sottsass. La parola alla Triennale di Milano ( fino al 2 aprile; info triennale. org) parte proprio da queste perentorie considerazioni di un gigante che non si potrà mai registrare in uno specifico ambito di ricerca, perché dal design all’architettura, dalla fotografia al testo, dalla pittura alla scultura ha attraversato interi decenni con un passo inafferrabile, tanto che verrebbe quasi da pensare che Sottsass sia una categoria a sé stante che include tutte le sfere eppure riesce a superare anch’esse. Ma questa mostra, che si focalizza sulla scrittura, potrebbe rappresentare il passo primigenio per comprendere l’enorme panorama del pensiero, concettuale e visivo, del maestro, che alla parola ha dedicato un impegno enorme, capace di rivelare le basi stesse di una filosofia della vita e del lavoro, ma anche. Allestita attorno a Casa Lana – il perimetro interno di un piccolo appartamento progettato interamente da Sottsass nei Sessanta e recentemente smantellato e rimontato grazie alla donazione della moglie Barbara Radice alla Triennale –, la mostra ha anzitutto il merito di farci entrare nelle diverse declinazioni che la parola ha avuto nella storia di questo pensatore radicale. Da una tecnica mista densa di parole, simboli e intere frasi contro la guerra con cui concepisce la tavola del 1966 intitolata In nome dell’amore a una maschera tracciata con pennarelli colorati il 31 agosto 2006 – probabilmente a Filicudi, dove trascorreva le sue vacanze guardando l’orizzonte, disegnando e facendo finta di stare in ferie come i comuni mortali, ma tale non era – e ai cui piedi c’è scritto « Sto meditando. Non disturbatemi » . « Ettore oltre a disegnare scrive tantissimo», ci racconta Barbara Radice, compagna per lunghi decenni d’amore, dialoghi e collaborazioni profonde. «Non riesco a parlare di lui al passato – prosegue Radice –; Ettore ha difatti usato la scrittura come parte integrante delle sue opere » , aggiunge. È lei tra i curatori della mostra assieme a Marco Sanmicheli responsabile per il design, moda e artigianato di Triennale, e Iskra Grisogono dello Studio Sottsass, da cui provengono quasi tutti i materiali in mostra, compresi i progetti per un ampio ciclo di lavori ceramici concepiti da Sottsass per il gallerista e collezionista svizzero Bruno Bischofberger: segni arcaici, una sorta di nuovo linguaggio che guarda a certi elementi grafici provenienti dalle forme primitive di scrittura, che l’architetto riesce a evidenziare nella sua potenza essenziale senza tempo. Lo si precisa con chiarezza nel diario scritto (e pubblicato da Electa con il titolo struggente Perché morte non ci separi) per lunghi mesi da Radice all’indomani dalla morte di Sottsass nel 2007, lui non voleva che il suo lavoro entrasse in un museo immutabile, dedito soltanto alla commemorazione.
La Triennale ha naturalmente ben risposto a questo desiderio legittimo, con un lavoro molto sistematico ma al contempo vitale, concepito attorno al perimetro di Casa Lana con specifici focus che ogni volta stupiscono. « Ettore – dice Stefano Boeri, presidente dell’istituzione milanese – è stato anche un fotografo straordinario, perciò stiamo lavorando con Barbara a un progetto molto importante sulle immagini della loro vita assieme, che sarà in mostra già quest’anno».
Tutti questi focus, precisa Boeri, « ci aiutano a tenere inquieta la Triennale » . Dalla mostra in corso affiorano poi altre frasi, ulteriori segni, pagine di appunti redatte con quel suo maiuscolo inconfondibile. Su una di queste c’è perfino appuntato il numero di telefono di Triennale. Su un’altra c’è un volto con gli occhi sgranati e la scritta « Guardo il mare » . Un sogno a occhi aperti, per questostraordinario sciamano del nostro tempo. Ed ecco che percorrendo con lo sguardo le pareti della mostra si comprende che c’è un lemma che sintetizza adeguatamente l’inesauribile ricerca di Sottsass, ovvero viaggiatore. D’altronde lo è stato davvero, sia in giro per il mondo, da solo e poi con Fernanda Pivano, a cui è stato legato a lungo, e nei tanti anni con Barbara Radice. Ma è stato viaggiatore anche nel silenzio della sua casa, su uno dei tavoli che la componevano, magari all’ombra del grande dipinto del suo amico Francesco Clemente che fa bella mostra di sé in una delle stanze di casa. È lì che ha scritto pagine memorabili, oggi pubblicate nei suoi libri più intensi, da Scritti di notte a
Molto difficile da dire e Di chi sono le case vuote?