Piano Industriale 2022-26
23 Giugno 2022“Ci aspetta un autunno caldo La Chiesa e Draghi devono collaborare”
24 Giugno 2022
di Massimo Franco
Il nervosismo è palpabile: a sinistra e a destra. È come se tutte le forze tradizionali avessero il presentimento di una scomposizione in embrione degli schieramenti e degli equilibri interni degli ultimi anni. Non è azzardato ritenere che i ballottaggi che ci saranno domenica in alcune città trasmetteranno una fotografia delle alleanze destinata a essere l’ultima prima delle prossime elezioni politiche. L’implosione del Movimento Cinque Stelle, con lo strappo del ministro degli Esteri Luigi Di Maio e i suoi sessanta e più parlamentari, sembra annunciarne altre.
Per questo, per il momento si ha la sensazione che i leader più critici fino a qualche giorno fa con il governo di Mario Draghi sulla politica estera, tendano ad aggrapparsi allo status quo. È come se percepissero oscuramente uno smottamento del sistema, destinato a travolgere in prima battuta proprio loro. Il capo del M5S, Giuseppe Conte, assicura di voler sostenere il governo e nega di essere contro l’Ue o la Nato. E il leghista Matteo Salvini, consapevole dei malumori nel Carroccio, boccia la mossa di Di Maio e non chiede nessun rimpasto.
La scissione decisa dal ministro degli Esteri, per quanto interna alle logiche di potere, è un fattore di cambiamento. Magari la foga con la quale Di Maio rinnega populismo e sovranismo induce a chiedersi se non sia una catarsi un po’ troppo radicale e dunque sospetta. Ma la metamorfosi di un pezzo dei Cinque Stelle che abbracciano atlantismo e europeismo rappresenta comunque un passo avanti. Quando il segretario del Pd, Enrico Letta, ammette di temere che questo rivolgimento faccia vincere il centrodestra, fotografa il tramonto dell’asse con Conte.
E quando invece berlusconiani e nebulosa centrista applaudono lo scarto di Di Maio, il suo omaggio al premier e la condanna dell’estremismo, in realtà parlano ai propri alleati. Dicono alla Lega salviniana, ma anche alla destra d’opposizione di Giorgia Meloni, che bisogna convergere su posizioni più moderate; e prendere atto, come sostiene la ministra di FI, Mara Carfagna, che è finita l’epoca dei partiti «di lotta e di governo»: chiaro riferimento al Carroccio, percorso da un nervosismo sempre meno nascosto per le posizioni altalenanti e filorusse del suo capo.
Quando è stato chiesto a Salvini che pensasse della scelta di Di Maio, ha replicato: «Non commento i problemi degli altri». E ha giudicato con disappunto quanti passano da una formazione all’altra. Ma le parole del segretario del Carroccio forse vanno lette anche sullo sfondo delle voci di un dialogo tra Di Maio e il ministro leghista Giancarlo Giorgetti, in dissenso da tempo con Salvini. In realtà, l’ex capo grillino sta contattando ogni potenziale interlocutore, a cominciare dalla rete dei sindaci. Resta da vedere la ricaduta di questo attivismo trasversale.