Niente post con Zelensky per non alimentare l’accusa di bellicismo Palazzo Chigi vuole rimandare il voto sulla mozione contro il ministro
ilario lombardo
francesco olivo
roma– bruxelles
C’è un buco temporale nella cronologia dei post su Instagram di Giorgia Meloni. E stavolta gli hacker non c’entrano. Il 24 febbraio non ci sono pubblicazioni. Eppure quel giorno la premier aveva in agenda un appuntamento importante: presiedere il G7 straordinario da Kiev, accanto al leader ucraino Volodymyr Zelensky. Per il capo di un governo non c’è visita più prestigiosa (la famosa foto del treno di Mario Draghi sta lì a dimostrarlo) eppure ai follower l’immagine non viene proposta, a differenza delle missioni a Tokyo, Pordenone, Bastia Umbra e al Cairo, tanto per citare le ultime. Non si tratta di un errore, ma di una strategia precisa: la guerra mette a repentaglio i consensi di Meloni. Lo staff di Palazzo Chigi la spiega così: «Sulle questioni di geopolitica tendiamo a usare X (ex Twitter ndr) o YouTube». Ma basta scorrere i commenti al video (su Instagram) con il punto stampa di ieri da Bruxelles per rendersi conto che gran parte degli utenti attaccano Meloni sul tema della guerra, e molti di questi si dichiarano elettori di Fratelli d’Italia o in generale simpatizzanti della destra. Tanto che il tema non è mai comparso negli ultimi comizi della premier a Cagliari e Pescara.
Si spiega anche così l’urgenza di Meloni di evitare di far passare quello di ieri a Bruxelles come un “consiglio di guerra” (definizione di Viktor Orban): «Io non ho visto un clima di guerra al summit, ho visto un clima simile ai precedenti vertici». Dentro la sala del Consiglio la delegazione italiana ha chiesto di cambiare il passaggio della bozza delle conclusioni in cui, nel paragrafo relativo a sicurezza e difesa, si evidenziava la necessità di una «potenziata e coordinata preparazione militare e civile e una gestione strategica delle crisi in un panorama di minacce in evoluzione». Di che si tratta? Per Meloni di un malinteso, si riferiva a «crisi sul piano della protezione civile» e per questo il punto è stato mantenuto, ma spostato nelle conclusioni. In realtà, l’allarme è stato portato avanti dai massimi vertici delle istituzioni: Ursula von der Leyen e Charles Michel, oltre ovviamente allo scenario aperto da Emmanuel Macron sull’invio di truppe Nato in Ucraina.
In un contesto del genere, fare una campagna elettorale mettendo al centro la difesa di Kiev diventerebbe assai rischioso, soprattutto perché nel frattempo Matteo Salvini (e nemmeno questo è un caso) ha accentuato la linea “pacifista”, che sconfina in un ammiccamento ripetuto alla Russia. Nei suoi equilibrismi Meloni ora deve tener conto anche della mozione che ha riunito tutte le opposizioni, tranne Matteo Renzi, contro il segretario della Lega. Un modo evidente per far emergere le contraddizioni che, sulla Russia e sulle simpatie per Putin, dilaniano la maggioranza. Contraddizioni che imbarazzano Meloni e di cui la leader deve continuamente dare conto. Salvini non è solo il leader del secondo partito, ma anche il vicepremier del suo governo, al centro di uno stupore che da tempo ha assunto dimensioni internazionali. Ieri, l’ultimo cortocircuito: Jordan Bardella, numero due di Marine Le Pen, leader del Rassemblement National, da sempre sospettata di legami con Mosca, è arrivato a sconfessare Salvini sulla Russia («non è un regime democratico»), tra l’altro alla vigilia del raduno dell’ultradestra organizzato dal leghista.
Sulla mozione, Meloni dissimulerà la solita apparente tranquillità. La linea non cambia: «Non contano le dichiarazioni, ma i voti in Consiglio dei ministri e in Parlamento. E finora la Lega ha sempre votato a sostegno dell’Ucraina e condannando la Russia». La mozione arriverà alla Camera dopodomani, per la discussione generale. Probabile che saranno pochissimi i deputati del centrodestra presenti, a testimoniare l’atteggiamento di indifferenza verso la mossa delle opposizioni. Al voto – che avrà un esito scontato – si arriverà, però, molto più in là. La maggioranza ha già intenzione di farlo slittare il più possibile. Sicuramente dopo Pasqua ma anche ben oltre. Salvini resterà al suo posto. E da lì continuerà a complicare la vita a Meloni.