Il consigliere dell’Eliseo: il presidente non riesce a entrare nella logica di costruire una coalizione, le affiliazioni personali non funzionano più
PARIGI — «Macron è finito in un’impasse politica ma la crisi sociale finirà e la riforma delle pensioni era necessaria per non rischiare un’allerta sui mercati finanziari». Alain Minc, consigliere ombra di tanti presidenti francesi, ora molto vicino a Emmanuel Macron, commenta la doppia crisi – sociale e politica – che attraversa la Francia e, da fine conoscitore delle relazioni con l’Italia, è convinto che i rapporti tra Macron e Giorgia Meloni «stanno migliorando».
Nonostante rivolte e proteste, continua a essere favorevole a questa riforma?
«Io, che non ho votato Macron al primo turno delle presidenziali, devo essere l’unico che continua a dire che bisogna fare questa riforma a causa dello spread. La realtà è che c’è un miracolo nello spread francese.
Siamo cinque punti sopra la Germania e logicamente dovremmo essere 0,5 punti sotto l’Italia. In parte, la situazione macroeconomica, con l’avanzo della bilancia commerciale e il deficit primario di bilancio al netto degli oneri per interessi, è migliore in Italia. Poi la Francia è più solida, più strutturata, ma visto dall’estero, se la riforma delle pensioni non passasse, ci sarebbe un possibile allarme.
Macron non ha osato dirlo. C’è questafantasia della dittatura dei mercati.
Ma i mercati finanziari non sono Bernard Arnault, sono le persone che gestiscono i fondi pensione degli insegnanti in California».
Gli oppositori denunciano una forzatura democratica. È stato un errore usare l’articolo 49.3, l’approvazione senza voto dei deputati?
«Il governo non poteva andare a un voto che avrebbe perso perché, in termini di immagine, sarebbe stato devastante. L’unico errore è che l’esecutivo ha creato da solo il problema del 49.3, dicendo che avrebbe fatto di tutto per evitarlo, così quando l’ha usato gli si è ritorto contro. Penso che il 49.3 avrebbe dovuto essere presentato come un mezzo già stato usato novantanove volte nella Quinta Repubblica. Non si può dire che ci siano stati novantanove colpi di Stato. Il problema oggi è che alla crisi sociale si aggiunge una crisi politica».
Quale potrebbe essere la
soluzione?
«Macron non riesce a entrare nella logica di costruire una coalizione.
Vuole affiliazioni personali, basate sul suo fascino. Non funziona più, prima di tutto perché non è rieleggibile. Il suo potere continuerà a diminuire. La vera questione sarebbe stata quella di aprire una trattativa per recuperare una trentina di deputati, facendo un contratto di governo. Il problema è che non è nella natura di Macron.
Quindi, secondo me, si trova in un’impasse».
E la crisi sociale? La rabbia in piazza aumenta.
«I francesi non si rendono conto di vivere in un paradiso. Non si rendono conto dell’efficacia del “socialismo francese”. Un’istruzione gratuita che funziona, così come l’assistenza sanitaria gratuita, nonostante i problemi, orari di lavoro più brevi settimanali e a vita – e una ricchezza che rimane onorevole. Il socialismo francese è fantastico, ma i francesi non lo sanno e nessuno glielo dice.
Macron, con il suo essere piccolo principe brillante, non è la persona più adatta a farlo. Provoca reazioni epidermiche. C’è tra un quarto e un terzo dei francesi per cui ha un’immagine ideale. Ma per il restante 70 per cento è respingente. È il sogno del borghese urbano istruito, ma i borghesi urbani istruiti non sono un’intera società».
Come finirà?
«I gilet gialli mi avevano preoccupato perché si trattava di qualcosa di non convenzionale. Ma il fatto che degli studenti brucino i bidoni della spazzatura, e che sentano di partecipare alla Storia, è qualcosa che abbiamo fatto tutti, anche io ho fatto il Sessantotto. Siamo nel cliché.
Quindi non sono preoccupato. Sulla crisi politica, Macron potrebbe uscirne se fa una coalizione, cosa che oggi non è pronto a fare. Oppure, farà passare in Parlamento solo proposte di legge piuttosto modeste».
Cinque mesi dopo, come giudica il governo di Giorgia Meloni?
«Vorrei che Marine Le Pen dicesse lestesse cose sull’Alleanza Atlantica, sull’Europa e sull’euro, sul deficit di bilancio. Poi sono d’accordo che alcune posizioni del governo italiano sui diritti delle coppie omosessuali possono scandalizzare gli italiani, e scandalizzano anche me. Ma non c’è nessuna marcia su Roma. E finora Meloni sta facendo in modo che l’Italia rispetti i suoi impegni internazionali».
I rapporti con Macron però sono sempre tesi.
«È iniziata male, ma migliorerà. Non sarà mai più come con Mario Draghi, che aveva un altro peso al tavolo con i francesi e i tedeschi. Draghi sarebbe stato certamente invitato a Parigi per il vertice con Zelensky e Scholz. Ma perché si trattava di Draghi. Per il resto, non c’è preoccupazione per l’Italia in Europa . Meloni potrebbe circondarsi meglio, con squadre più professionali, ma alla fine non sta destabilizzando l’Occidente, l’Europa o i mercati finanziari. È già molto».