L’Italia ha imboccato con decisione la strada che conduce alla flat tax. L’obiettivo è dichiarato nero su bianco nella legge delega approvata il 16 marzo dal consiglio dei ministri, che fornisce al governo una cornice di principi cui attenersi per realizzare la riforma fiscale. Definita rivoluzionaria dalla premier Giorgia Meloni, la riforma si propone, tra le altre cose, di arrivare alla «graduale riduzione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, nel rispetto del principio di progressività e nella prospettiva della transizione del sistema verso l’aliquota impositiva unica». Nel testo non c’è scritto attraverso quali passaggi si arriverà al risultato dell’aliquota unica e la parola «scaglioni» compare una sola volta nelle 35 pagine del documento. Però la stessa Meloni davanti alla platea della Cgil ha dichiarato che il governo vorrebbe avviare la rivoluzione riducendo da quattro e tre le aliquote che si applicano sui redditi delle persone fisiche, accorpando i primi due scaglioni. Per poi continuare in questa direzione, riducendo gli scaglioni, fino al termine della legislatura con l’introduzione dell’agognata flat tax.

Tralasciamo per il momento i rischi che il progetto della tassa piatta comporta per i conti pubblici, per il principio di progressività e per l’equità, e facciamoci una domanda da persone comuni, da ingenui Forrest Gump: i Paesi a noi vicini che funzionano bene, che sono efficienti, che hanno un welfare simile al nostro e che magari potrebbero rappresentare un buon esempio da seguire, hanno introdotto una flat tax sui redditi personali? La risposta è no. Proviamo a fare un rapido viaggio in Europ, negli Usa e in Asia tra aliquote e scaglioni, con l’aiuto di Ruggero Paladini, docente di Scienze delle finanze alla Sapienza di Roma, e di alcune società di consulenza.

GERMANIA

Al contrario degli italiani i tedeschi non sembrano per niente affascinati dalla flat tax. Anzi, il loro sistema di tassazione dei redditi personali è forse il più progressivo al mondo: come spiega Paladini, tra gli 11 e i 63 mila euro di reddito c’è un’aliquota che parte dal 14 per cento e aumenta di continuo per ogni euro guadagnato in più, appunto progressivamente, per arrivare al 42 per cento. In pratica c’è uno scaglione per ogni euro e l’imposta viene calcolata con un algoritmo. Poi, dopo i 63 mila euro ci sono due aliquote: una del 42 per cento fino a 278 mila euro e l’ultima del 45 per cento oltre quella soglia.

FRANCIA

In Francia le fasce di reddito sono suddivise in 5 scaglioni su cui si applicano altrettante aliquote. Si parte da zero fino a 10.777 euro di reddito, poi si sale all’11 per cento da 10.778 a 27.478 euro; al 30 per cento tra 27. 479 e 78.570 euro; al 41 per cento tra 78.571 e 169 mila euro; per finire con il 45 per cento oltre i 169 mila euro. In Francia il quoziente familiare fa scendere il reddito di uno o più scaglioni in base al numero di figli (ed è singolare che nel governo Meloni si parli anche di quoziente familiare ipotizzando proprio l’eliminazione degli scaglioni).

Spagna

Qui gli scaglioni sono sei: si paga il 19 per cento sui i primi 12.450 mila euro circa di reddito imponibile; il 24 tra i 12.451 mila e i 20 mila euro; il 30 sui successivi 20-35 mila euro; il 37 tra 35 e 60 mila euro; il 45 nella fascia 60-300 mila euro e infine 47 per cento oltre i 300 mila euro.

PAESI BASSI

Nel Paese di Van Gogh le aliquote sono solo tre: il 9,7 per cento fino a circa 34 mila euro di reddito, il 37,35 per cento da 34 a 68.500 euro e infine il 49,5 per cento oltre i 68.500 euro. I redditi finanziari vengono tassati con un sistema leggermente progressivo e non con una tassa piatta.

REGNO UNITO

In Inghilterra e nel Galles sono previste tre aliquote per altrettanti scaglioni con un’imposizione massima del 45 per cento oltre le 125 mila sterline. In Scozia le aliquote invece sono cinque con una massima del 47 per cento oltre le 125 mila sterline.

STATI UNITI

Anche gli Stati Uniti hanno un sistema a più aliquote. Per l’anno fiscale 2022 sono previsti addirittura sette scaglioni con altrettante aliquote dell’imposta federale sul reddito: dal 10 per cento da zero a 10.275 dollari di reddito fino al 37 per cento per i redditi superiori a 578.126 dollari. Le soglie di reddito che determinano gli scaglioni fiscali vengono generalmente aumentate ogni anno per riflettere l’inflazione.

GIAPPONE

Nel Paese asiatico la tassazione sulle persone fisiche è progressiva e prevede sei scaglioni con aliquota comprese tra una minima del 10 per cento ed una massima del 45 per cento.

Cina

Nel Paese comunista i residenti sono soggetti ad una tassazione progressiva basata su sette scaglioni di reddito con aliquote che partono dal 3 per cento e arrivano fino al 45 per cento per un imponibile superiore a 960 mila yuan, pari a 129 mila euro.

L’elenco potrebbe continuare per altre decine di Paesi che tassano i redditi personali con un sistema di aliquote progressive. Invece è molto diffusa una tassazione proporzionale dei guadagni da capitale, cioè con una tassa piatta. Naturalmente il quadro offerto da questo rapido volo sui sistemi fiscali di alcuni Paesi è molto semplificato. Bisognerebbe tenere conto per esempio che ci sono diverse fasce di reddito non tassate. Che deduzioni e detrazioni modificano l’imponibile. Che gli scaglioni di reddito non sono uguali. E che ogni Paese ha le sue peculiarità. In Francia, come abbiamo scritto, c’è il quoziente familiare. In Italia gli effetti distorsivi delle detrazioni per il lavoro dipendente modificano l’aliquota marginale portandola addirittura al 43,68 per cento nella fascia di reddito tra 28 e 50 mila euro.

Ma a parte queste e altre differenze, resta il fatto che ovunque nell’Europa occidentale e nei Paesi più avanzati il fisco si basa su sistemi progressivi con più aliquote. E nel confronto con questi sistemi, nota Palladini, l’Italia mostra una doppia anomalia: la prima aliquota, quella che colpisce i redditi più bassi, da noi è più alta rispetto agli altri Paesi, è del 23 per cento fino a circa 15 mila euro mentre i tedeschi partono dal 14 per cento, i francesi dall’11 per cento e gli spagnoli dal 19 per cento. E l’aliquota più alta, che in Italia è pari al 43 per cento, viene applicata sui redditi già a partire da 50 mila euro, un livello tutto sommato basso rispetto a quello dei nostri vicini: in Germania l’aliquota del 45 per cento si applica oltre i 278 mila euro di imponibile, in Francia oltre i 169 mila euro e in Spagna nella fascia 60-300 mila euro. «Il risultato è che in Italia i redditi medi sono tassati di più» commenta Paladini.

DALL’ARMENIA ALL’UZBEKISTAN

E poiché l’Irpef ormai la pagano quasi esclusivamente i lavoratori dipendenti e i pensionati, sulle loro spalle ricade il maggior peso delle imposte. Potrà la flat tax risolvere questo e gli altri problemi che affliggono il nostro caotico e iniquo sistema fiscale? Potrà davvero stimolare la creazione di lavoro, gli investimenti, l’aumento del gettito come sostengono i suoi sostenitori capeggiati in Italia dalla Lega di Matteo Salvini? Sarebbe l’«effetto Laffer», secondo il quale una diminuzione delle tasse fa aumentare il Pil e di conseguenza le imposte. Una teoria basata sulla curva di Laffer, creata dall’omonimo economista, che mostra come portare le aliquote fiscali oltre un certo punto è controproducente per aumentare il gettito fiscale.

Nel mondo ci sono circa 27 Paesi che utilizzano la tassa piatta sui redditi delle persone fisiche: peccato che dalla A di Armenia fino alla U di Uzbekistan, nell’elenco non compaia nessun Paese occidentale e ci siano invece molte nazioni dell’ex blocco sovietico. Da notare che la Russia e la Slovacchia hanno dovuto rinunciare alla flat tax visti i cattivi risultati ottenuti.

«La letteratura economica ci dice che l’introduzione della tassa piatta in questi Paesi non ha avuto effetti visibili sul lavoro, sugli investimenti e sull’emersione dell’evasione» sostiene Alessandro Santoro, che insegna Scienza delle finanze alla Bicocca di Milano. «Con un intervento sulle detrazioni la progressività si può ottenere, almeno in astratto. Ma se l’obiettivo è avere un sistema fiscale più efficiente e più equo, non c’è evidenza scientifica che si ottenga con la flat tax».

Santoro ricorda che la progressività è stata messa sotto accusa anche in Europa dalla graduale introduzione di imposte piatte (cioè proporzionali) sui redditi da capitale, che ormai sono adottate in quasi tutti i Paesi e che hanno aperto un varco per i sostenitori della flat tax anche sui redditi da lavoro. Ma con scarso successo. Del resto, come dice Santoro, l’esperienza della tassa piatta non è positiva. Un documento del Fondo monetario internazionale dal titolo «La flat tax: principi e prove» trae queste conclusioni: «Tranne che in Russia, la seconda ondata di riforme della flat tax a bassa aliquota è stata associata a una riduzione del gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Le risposte comportamentali possono aver attenuato la perdita di gettito, ma in nessun caso sembra essersi verificato un effetto Laffer: queste riforme non hanno innescato effetti abbastanza forti da ripagarsi da sole. In Russia, inoltre, ci sono poche prove che la forte performance del gettito dopo la riforma sia dovuta alla flat tax stessa: sembra piuttosto che abbia riflesso una più ampia ripresa macroeconomica».

LE SENTENZE DI FMI E BCE

Un altro documento, della Banca centrale europea, rileva che «la flat tax non garantisce automaticamente la semplificazione del fisco. Il fatto che i Paesi che hanno introdotto la flat tax abbiano al tempo stesso realizzato altre riforme strutturali rende molto difficile isolare l’impatto della flat tax a livello macroeconomico e sul livello del gettito fiscale». La Slovacchia nel 2004 adottò l’aliquota fissa e, dopo appena nove anni, decise di fare dietrofront: il motivo è che non si verificò l’aumento del gettito previsto, creando molti problemi alle casse dello Stato. Nel 2013 il nuovo governo di sinistra ritornò al sistema tradizionale, incrementando le entrate fiscali rispetto al Pil dal 34 per cento nel 2012 al 40 per cento nel 2015.

Riguardo alla semplificazione, Paladini ha molti dubbi che si possa ottenere con una sola aliquota: «Per ottenere la progressività l’idea è di intervenire sulle detrazioni che dovrebbero diminuire con l’aumento del reddito, reintroducendo di fatto degli scaglioni: mi sembra che così le cose si complichino». E poi è difficile ridurre le detrazioni più importanti come quella sulle spese sanitarie. Inoltre nella legge delega si parla di flat tax incrementale anche sui redditi da lavoro dipendente, che rappresenterebbe un’ulteriore complicazione e appare in contradizione con l’obiettivo di una tassa uguale per tutti.

Per il docente della Sapienza sarà molto difficile che si arrivi davvero a introdurre una flat tax per lavoratori dipendenti e pensionati: «Costa troppo e chi guadagna di più viene tassato di meno. Farebbe apparire chiaramente chi sono i grandi beneficiari di questo tipo d’imposta; e questo dal punto di vista elettorale è piuttosto problematico per i partiti di governo».

Tra i modelli adottati all’estero a Paladini piace in particolare quello olandese, che ha poche aliquote, il lavoro viene colpito di meno ma anche la casa in cui si vive viene tassata: «È un sistema più equo». Anche Santoro guarda a nord e predilige il modello duale dei Paesi scandinavi dove tutti i redditi da lavoro sono soggetti ad un’imposta progressiva (e non come in Italia dove il lavoro autonomo è spesso tassato con aliquote piatte) mentre i redditi da capitale sono soggetti alla stessa imposta proporzionale (mentre da noi azioni, titoli di Stato, fondi pensione, affitti sono trattati in modo diverso).

Carlo Garbarini, docente di Diritto tributario alla Bocconi di Milano, sostiene che il progetto di introdurre la flat tax in Italia è «un salto nel passato»: «Si recupera un pensiero liberista di quarant’anni fa, che vedeva le tasse come un ostacolo allo sviluppo. È il turbocapitalismo che vuole affamare lo Stato, con il risultato di ridurre i servizi pubblici soprattutto nelle regioni meno ricche». Secondo Garbarini con la flat tax non si ottengono né l’equità né l’efficienza: «È una fissazione inspiegabile che ci allontana dall’Europa».