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Scintille con Macron: «Si è corso troppo». Il dispiacere per Zelensky
Londra Per Giorgia Meloni «si è corso troppo». E il compito che, pubblicamente, si autoassegna, e al tavolo del vertice rivendica con uno scambio riferito come «teso», è di frenare le macchine. Anche a costo di derubricare a «spunti» quello che il padrone di casa illustra come «Piano».
La giornata della premier a Londra è frenetica, intensa. C’è quella contrapposizione al tavolo del summit a Lancaster house, soprattutto con il presidente francese — «discussione franca» la definirà Meloni — a proposito dell’ipotesi di truppe europee da inviare in Ucraina. Ma c’è il bilaterale, in un clima che definiscono disteso, con il primo ministro inglese Keir Starmer col quale condivide l’impegno a mantenere l’Europa ancorata agli Usa. E prima del summit, un breve faccia a faccia con Volodymyr Zelensky che definirà «molto lucido, razionale, impegnato a trovare soluzioni». È l’occassione per esplicitare il sostegno che, dopo lo strappo con Trump, era sembrato tiepido. «Sono molto dispiaciuta per quello che è accaduto — dice la premier — ma in questa fase non serve a nessuno lasciarsi andare alle tifoserie». Meno «emotività più freddezza», dirà poi riferendosi a «quello su cui l’Italia lavora» rispetto alle fughe in avanti degli altri leader europei.
Meloni infatti a Londra tatticamente afferma una posizione italiana, terza, nel complesso e delicato quadro internazionale. E lo fa concedendo un lungo (e non consueto) punto coi giornalisti, fuori dalla residenza dell’ambasciatore in Grosvenor square. «Tutti condividiamo lo stesso obiettivo di arrivare a una pace duratura e giusta in Ucraina — dice —. Sul come la discussione diventa più complessa, ma dobbiamo essere bravi a non favorire la divisione dell’Occidente che sarebbe esiziale per tutti». Ma appunto il come è quello che mette la premier italiana in una condizione di particolare difficoltà. Francia e Gran Bretagna sono già partite, con il piano illustrato ieri della «coalizione dei volenterosi» per garantire la pace. E poi, ad aereo appena ripartito da Londra, arriva la sollecitazione del presidente Macron: quell’«abbiamo bisogno dell’Italia», insieme al pungente suggerimento di «fare come Draghi» che fa il percorso di Meloni più stretto.
I segnali a Starmer
Il faccia a faccia con il premier britannico e il tentativo di fare asse verso Washington
La premier tenta di tenere tutto insieme, ribadendo in modo ancora più netto che il rischio da evitare è il disimpegno degli Stati Uniti. «Penso che sia un errore togliere dal tavolo la discussione sulla cornice atlantica». E ancora: «Sicuramente è utile che ci siano proposte e ringrazio per questo Francia e Gran Bretagna. L’Italia è disposta a discuterne». Con una «soluzione meno risolutiva» delle truppe europee su cui conferma «le perplessità» in questa fase, almeno. Se è fondamentale che gli Usa restino nella partita della pace, il quadro è quello di un nuovo articolo 5 del trattato Nato che stabilisce che l’attacco armato a uno degli alleati è considerato un attacco contro tutti. Qui, Meloni non esplicita. Alla domanda su come fare se Trump non ci stesse, risponde: «Trump, Putin, Zelensky, gli interlocutori sono tanti, ma intanto bisogna provare a pensare “out of the box”, in modo creativo. Credo il tema dell’articolo 5 della Nato sia il più efficace di tutti. Che si realizza anche senza l’ingresso (dell’Ucraina, ndr) nella Nato. Ma da lì bisogna ripartire, non da soluzioni che escludono completamente il modo di difenderci che conosciamo». E il rilievo critico all’attivismo europeo è diretto: «È come se avessimo corso un po’ troppo».
Il come, quindi, non sembra ancora chiaro. Ma sforzarsi per individuarlo è interesse anche di Trump. Meloni ne ha parlato anche nella conversazione telefonica di due sere fa: «Quel che dico in pubblico lo dico anche in privato», riferisce. Nella chiamata ha quindi condiviso la necessità di tenere unite «le due sponde dell’Atlantico». Ne parleranno quando andrà alla Casa Bianca: «A un certo punto ci andrò», sostiene. Intanto «ho la percezione che gli Usa vogliano la pace velocemente». E «poiché Trump si definisce un peacekeeper, è interesse anche degli Stati Uniti essere certi che, una volta raggiunta la pace, non si torni indietro. Lavoriamoci. Forse bisogna riprendere ragionamenti tolti dal tavolo troppo in fretta».
Le mosse
Un faccia a faccia dopo la chiamata con Trump: «A un certo punto andrò a Washington»
Nel rapporto con gli Stati Uniti, inevitabilmente rientra il tema dei dazi. «Siamo molto preoccupati», inizia Meloni che poi, interpellata sulla posizione diversa di Salvini, rettifica: «Io sono molto preoccupata. Se venissero introdotti i dazi l’Europa risponderebbe. E una escalation indebolirebbe tutti». Meloni risponde anche sull’ipotesi di un ombrello nucleare europeo. Per respingerla seccamente: «È un’ipotesi che prende in considerazione il disimpegno degli Stati uniti. Parlarne, favorendo uno scenario che non si auspica, non è intelligentissimo».