Ogni volta che mi chiedono di scrivere dei maschi, o se non ogni volta, molto spesso, succede che poi in coincidenza c’è un fatto di cronaca orribile che li (ci) riguarda; non mi chiedono di scrivere per quel fatto di cronaca, ma poi succede che le cose di cui voglio scrivere si devono confrontare con un atto agghiacciante. Questa volta, nella storia di Filippo Turetta e Giulia Cecchettin, c’era, per tanti motivi diversi, una relazione con la quotidianità, con la normalità, più visibile, più stretta; non so bene se perché è stata raccontata praticamente da subito, se perché era una situazione molto simile a tantissime altre che ci capitano intorno (e ai nostri figli); fatto sta che abbiamo sperato che finisse bene fino all’ultimo, anche quando ormai avevamo capito che finiva male.
Ora, non voglio parlare di una efferatezza, ma della violenza degli uomini; che non è esattamente la stessa cosa — o per meglio dire, non si tratta solo dei casi estremi. Di fronte a tutto ciò, ci sono due strade: o il senso di estraneità (io non sono così), che spessissimo i casi più terribili portano a sostenere: io vivo una vita in cui è inconcepibile quello che è successo (e probabilmente, lo sappiamo, era inconcepibile anche per quel ragazzo); oppure il farsi carico; e cioè: proprio perché tutto quello che ho provato in questi giorni è stato il riconoscimento di una vita normale (per questo abbiamo pensato che potesse non succedere il peggio), allora c’è un gancio che unisce i nostri comportamenti quotidiani e i fatti estremi. E quel gancio è: come sono fatti gli uomini, e cioè: come siamo fatti. Visto che scrive un uomo.
Non mi piacciono gli uomini che si sottraggono all’accusa di essere violenti. In fondo, se per violenza sulle donne si intende quel fatto di cronaca terribile, è anche un modo per dire che siamo salvi. Non sono io, non siamo noi, non potremmo mai esserlo. Ecco, non mi piacciono gli uomini che si vogliono salvare.
Dico di più: non mi piacciono gli uomini progressisti. Perché sono un’invenzione, o al massimo un involucro; o nei casi migliori uno sforzo continuo prodotto per anni, che poi in qualche modo va sempre a schiantarsi.
Esiste il maschio che non vuole essere ciò che è. E questo è il massimo del progresso che possiamo concederci. Poi, sia chiaro, siamo tutti individui uno diverso dall’altro, e in quanto talipossiamo perfino essere progressisti; ma in quanto maschi, no; in quanto maschi, siamo tutti uguali. Oppure, a voler essere generosi, ci assomigliamo molto (moltissimo), tutti, nelle caratteristiche fondamentali.
È questo l’errore (sto pontificando, spiegando, non posso fare a meno di farlo, ho cominciato a farlo con mia sorella che avevo cinque anni, come faccio a smettere?) che si fa in questi anni così sensibili alla questione: non basta cambiare le regole da un giorno all’altro e mettere quelle giuste; e credere che si seguano soltanto perché sono giuste. Questo è il grande errore dell’umanità, è questa la fiducia progressista che fallisce. O meglio, le regole si possono cambiare anche da un giorno all’altro, si possono senz’altro mettere regole finalmente giuste, ma questo non otterrà risultati immediati: è inutile illudersi, sarà lento e faticoso. Perché quanto più al maschio verranno sottratte arroganza e supremazia, sicurezza e predominio, tanto più si sentirà fragile; e quanto più si sentirà fragile, tanto più combatterà disperatamente. La fragilità ci rende spaventosi, noi maschi; tanto quanto ci rende spaventosi la violenza; soltanto nei maschi queste due caratteristiche sono legate. È attraverso questo che bisogna passare, lo si voglia o no. Non si vorrebbe passarci, lo so, perché non è giusto. Si risponde: ci siamo occupati dell’arroganza, e adesso ci dobbiamo occupare pure della fragilità? Non è giusto. E però il fatto che non sia giusto, non basta. Non è mai bastato.
Diciamo sempre: confidiamo nelle nuove generazioni. Ma se pensiamo agli estremi, a fatti di cronaca come quest’ultimo — riguarda proprio le nuove generazioni; e se pensiamo alla vita quotidiana, mia figlia, per esempio, di maschi coetanei che le spiegano le cose, che le spiegano tutto, ne ha già trovati a decine.
Io non mi voglio salvare affatto. Noi non ci dobbiamo salvare affatto. In questa storia, non ci sono uomini progressisti, moderni, rivoluzionari. Ripeto: ci possono essere persone progressiste, moderne, rivoluzionarie. Ma se queste persone sono uomini, in quanto uomini non lo sono più.
Siamo stati almeno una volta (e anche di più) nella vita quello che urlava sopra, che non faceva parlare, che doveva parlare prima lui; quello che spiegava come bisogna comportarsi, o come fare una cosa, o addirittura come bisogna vivere; quello che ha cercato di imporre il suo ruolo, quello che si è incazzato di più perché sapeva di avere torto; quello che non ha accettato che si amasse un altro uomo (non ha accettato è poco). Quello che si ricorda che aveva ragione anche due mesi dopo, e chiama, e dice: hai visto che avevo ragione? Quello che quando parla a una riunione si rivolge agli altri uomini. Quello che si dimentica come si chiama la collega. Quello che manda messaggi ambigui per tutta la vita. Quello che sul treno si sente in dovere di rivolgere la parola a una donna che siede di fronte solo perché è carina, e non riuscirebbe a tornare a casa senza averlo fatto. Quello che si appropria delle idee delle altre, disinvoltamente. Eccetera, eccetera, eccetera.
E c’è un’altra cosa che ci riguarda, e che mi riguarda, in questi anni in cui ci si occupa con meticolosità di questo problema. Noi uomini a tutto questo siamo già insofferenti. Io per primo sono molto insofferente. Ci siamo già stancati. Diciamo: vabbè, ho capito. Cerchiamo di comportarci bene, ma sbuffiamo, perché ci hanno già rotto le palle. È questo che diciamo. Anzi, è questo che pensiamo, ma non sempre lo diciamo (soprattutto se siamo progressisti): va bene, abbiamo capito, adesso non rompete più i coglioni.
Quindi, per tirare le somme, lo stato delle cose è questo: le regole sono cambiate, ma per cambiare gli uomini ci vuole un sacco di tempo. E però, intanto, quasi subito, gli uomini si sono già scocciati di queste regole.
C’è ancora qualcosa — c’è ancora molto — che non funziona.