Meloni-Scholz sorrisi e distanze sul Patto di stabilità il nodo investimenti
23 Novembre 2023Tregua-ostaggi dalle 10, tutti a Gaza city a cercare casa propria
23 Novembre 2023Il ritratto
dell’inviata a L’Aia Irene Soave
Alla svolta anti-migranti dei liberali i cittadini hanno preferito l’originale
Il momento in cui Geert Wilders ha vinto una volta per tutte le elezioni di ieri, in Olanda, è stato alla «Notte olandese»: il dibattito tra candidati premier in diretta tv, la sera prima del voto. Una donna dal pubblico urla contro Frans Timmermans, già commissario Ue e a capo della compagine Verdi-Laburisti: «Non ho i soldi per curare la mia malattia». Timmermans: «Stiamo lottando contro la povertà. Tra quattro anni…». E Wilders può trionfare: «Tra quattro anni è tardi». Applausi.
I capelli tinti di programmatico biondo ariano, lo sguardo sprezzante, la scorta che non lo abbandona da 17 anni per risparmiargli la sorte di Theo van Gogh e Pim Fortuyn: uccisi perché anti-islamici radicali, come lo è lui. Geert Wilders, spauracchio alle elezioni del 2017 e del 2021, questa volta ha vinto: il suo Partito per la libertà, Pvv — una sola lettera di differenza dal Vvd, partito per la libertà e la democrazia che da tredici anni guida il governo — è il primo in Olanda.
La stampa straniera l’ha visto arrivare tardi: 125 giornalisti da tutto il mondo si sono accreditati invece al quartier generale dei liberali, dove si attendeva un ingresso trionfale di Dilan Yesilgoz-Zegerius, ministra della Giustizia di Mark Rutte e candidata a succedergli (anche per i sondaggi); ma nel padiglione, stipato di bottiglie di bianco secco e kroketten, si è smesso rapidamente di festeggiare. Eppure Yesilgoz aveva promesso una linea dura sull’immigrazione. Gli elettori non se ne sono fidati, confermando una delle leggi base dei partiti sovranisti: se un partito moderato ne mutua temi e linguaggi, gli elettori gli preferiscono l’originale. Anzi, lo vedono legittimato.
Dove Wilders invoca la «de-islamizzazione» dell’Olanda, Yesilgoz prometteva un più morbido «giro di vite». Dove tutti escludevano di allearsi con lui, Yesilgoz si era detta possibilista, escludendo solo di sostenerlo come primo ministro. «Rutte aveva sempre tenuto le distanze», spiega il politologo Joost van Spanje. «Il successo di Wilders si deve a lei, che lo ha reso un’alternativa legittima».
La promessa
Ci comporteremo ragionevolmente, gli olandesi torneranno al primo posto
La rincorsa nei sondaggi è arrivata da fine estate; l’impennata, secondo altri analisti, è un’onda lunga del 7 ottobre. «Dopo le tante manifestazioni anti-Israele è cresciuta la diffidenza nei confronti degli immigrati musulmani. Sembravano simpatizzare per Hamas», spiega il corrispondente di De Telegraaf Maarten van Aalderen. C’è una stille meerderheid, una maggioranza silenziosa, «che non scende in piazza ma che era infastidita. Molti hanno votato Wilders per la prima volta». E il «problema dei migranti» i liberali l’hanno solo messo in agenda, «ma ne sono arrivati sempre di più».
«Ora non potete ignorarci», ha tuonato Wilders dalla sua festa elettorale a Scheveningen (giornalisti stranieri: non pervenuti, del resto il vincitore ha più volte definito la stampa «feccia») già sapendo che i prossimi giorni, mesi, saranno fitti di consultazioni tra i partiti «presentabili» per escluderlo dalle tradizionali larghe intese. Ha promesso tre cose: «Ci comporteremo ragionevolmente», «gli olandesi torneranno al primo posto», lo «tsunami dei rifugiati», mantra della campagna elettorale, sarà arginato.
Wilders, che in Olanda non vive da «padrone in casa propria» come sogna il suo elettore, ma da recluso, per le migliaia di minacce che gli arrivano, ha un suo Pantheon: Donald Trump, cui ha rubato lo slogan 2017 #makeNetherlandsGreatAgain (e qualche acconciatura); «il grande Ronald Reagan»; Oriana Fallaci e il suo La rabbia e l’orgoglio. Per Wilders, ex paria che la rabbia dei tempi incorona re, è la sera dell’orgoglio.