«Va bene, ci aggiorniamo dopo Pasqua». Menomale che c’è Pasqua, e poi Pasquetta, che la settimana di passione – quella in cui Gesù si trascina la croce muore ma poi risorge – mette un tempo di meditazione, indispensabile al Nazareno per far posare il polverone esploso nel momento esatto in cui si è ufficialmente aperta la partita delle liste per le europee. Che sarebbe successo, era scritto: la scelta di rallentare le decisioni, di sopire e tacere le obiezioni spuntate qua e là, di puntare a battere i contrari per sfinimento, rispondere a chi chiedeva lumi «intanto i candidati corrano», era assumersi un rischio. Il rischio di fare scontenti tutti, amici e nemici, gli uni per essere tagliati fuori dalle scelte, gli altri per essere tagliati fuori dalla zona elezione. Ma era un rischio calcolato? Anche Giorgia Meloni ancora non ha ufficializzato la sua candidatura, ma i suoi si lavorano “come se” (corresse) e la considerano capolista ovunque. Quindi la presenza della premier introduce un principio d’ordine nelle liste Fdi. Da quest’altra parte le poche certezze trapelate hanno prodotto un risultato: polemiche, incertezze, entropia massima.
TIRO INCROCIATO SU TARQUINIO
Per esempio, far circolare anzitempo il nome del cattolico e pacifistissimo Marco Tarquinio, contrario all’invio di armi in Ucraina, ha scatenato la contraerea dei filoatlantici. Lorenzo Guerini ha avvertito: «La nostra linea sull’Ucraina è stata ed è chiara. Cosa vogliamo, aprire una discussione in campagna elettorale su un punto su cui siamo uniti?». Lia Quartapelle ha aggiunto il tema dei diritti civili. C’è chi ricorda la posizione sofferta del giornalista sull’aborto. La sinistra invece lo ha difeso, da Andrea Orlando a Goffredo Bettini a Nicola Zingaretti, e a sua volta ha attaccato i riformisti che chiedono un dialogo più stretto con i cattolici e poi bocciano l’ex direttore di Avvenire e amico del presidente della Cei Matteo Zuppi. Tarquinio ha detto di non aver ancora deciso: «Ci sto pensando». Se l’intenzione di Schlein è di candidarlo, lasciarlo impallinare sui giornali lo rafforzerà, o rafforzerà l’idea di un candidato estraneo alla lista che lo elegge?
IL SENSO DI ELLY PER LE CIVICHE
Diverso è il caso di un’altra giornalista, Lucia Annunziata, annunciata capolista nel Sud, in ticket con il sindaco di Bari Antonio Decaro. Annunziata ancora non ha pubblicamente accettato la candidatura, ma la segretaria aveva il suo ok prima di renderla pubblica. Qui i malumori si appuntano sull’incerta collocazione di Schlein in quella lista: se terza, dopo la coppia, rischia di attirare le preferenze destinate per legge alle altre donne (ai signori conviene portare la capolista o la segretaria). E su questo attacca Pina Picierno, vicepresidente del parlamento, più alta in grado a Bruxelles (dopo il commissario Paolo Gentiloni, che non si è voluto candidare): ha parlato di una discussione iniziata «in modo un po’ scomposto», «arrivata prima sui giornali e poi negli studi tv», «non siamo all’Isola dei famosi», «Il Pd si è tenuto in piedi in questi anni grazie alla forza di tutti i nostri militanti, ritengo sia giusto ascoltare quello che pensano».
Ma qui forse il punto è un altro: Schlein cerca di allargare l’elettorato del suo partito. A questo punta lo schema dell’ormai famigerato «panino»: donna civica, dirigente di partito, Schlein. Ma ora la segretaria si è accorta che il panino non va giù, che lo schema non regge in tutte e cinque le circoscrizioni: infatti giovedì avrebbe offerto a Stefano Bonaccini di guidare la lista del Nord est, al posto della responsabile ambiente Annalisa Corrado, ingegnera “no-inceneritore” (in una regione, l’Emilia-Romagna, che da sola ne fa orgogliosamente funzionare sette). E se salta al Nord est, perché il panino non dovrebbe saltare altrove? Schlein, racconta chi con lei ha parlato, sarebbe pronta a rinunciare anche al suo terzo posto, “cedendolo” per esempio al Sud a Picierno. Ma per ora il tetris non torna, e la matassa si imbroglia anziché sbrogliarsi.
L’AMARO SCOOP SU SALIS
Arriviamo all’ultimo colpo di scena, il segreto svelato da Repubblica giovedì scorso: l’intenzione di candidare Ilaria Salis, la nostra connazionale detenuta a Budapest. La notizia è trapelata nel momento peggiore, mentre l’insegnante affrontava l’aula e riceveva il diniego degli arresti domiciliari. Su questo caso è difficile trovare chi accetta di dire la sua apertamente, la solidarietà con la famiglia Salis consiglia il silenzio. Anche da parte di quelli che ci sperano: «Al momento è un’indiscrezione giornalistica», ha detto Laura Boldrini su La7. Boldrini era a Budapest giovedì, con altri parlamentari. Tutti assicurano che la famiglia Salis, in quel giorno di rabbia e delusione, a tutto pensava tranne che alle europee del Pd. Ma far circolare la possibilità della corsa di Ilaria, senza smentire o confermare, ovvero senza mettere il peso di una scelta rivendicata, alimenta altri dubbi, altre incertezze.
ROTTAMARE I BRUSSELLESI
Venerdì 29 si è riunita la delegazione dem di Bruxelles, e l’impressione di chi ha partecipato al dibattito è che tutti quelli che non sono della corrente Schlein si sentano un po’ reietti. Nessun comunicato ufficiale, per non alimentare le polemiche: ma comunque da lì è stata trasmesso al Nazareno il no al “panino”, meglio «un mix tra candidature civiche e dirigenti di partito sia nuovi che uscenti».
Ma perché c’è un punto a cui si gira intorno: il giudizio sul Pd che c’è. La segretaria vuole comporre «una squadra» che assomigli di più al suo Pd, ma senza affrontare la questione apertamente. E così da Bruxelles filtra la richiesta di «tutelare chi ha un ruolo apicale, come viene fatto dagli altri partiti in Europa» (riferimento a Picierno e Irene Tinagli, presidente della commissione economia) e di «valorizzare il lavoro svolto dagli uscenti perché una mancata difesa suonerebbe come una bocciatura».
C’è stato anche chi ha espresso l’intenzione di non ricandidarsi «se in posizione troppo sfavorevole». D’altro canto è probabile che il capodelegazione Brando Benifei sia schierato secondo nel Nord Ovest, dietro Cecilia Sala. Resta che cercare furiosamente capolista civiche (accade ancora in queste ore) sembra la certificazione che nel Pd non ci sono personalità all’altezza, anzi donne all’altezza. Per paradosso, è l’opposto di quello che fece Matteo Renzi nel 2014: cinque capolista, tutte renziane e di partito (tranne Caterina Chinnici, rieletta nel ‘19 con il Pd, ora è in Forza Italia), il Pd finì con il famoso, oggi irraggiungibile, 40 per cento.
Per ora resta «tutto aperto», viene assicurato sia dal lato Nazareno che dal lato riformista. Bisogna aspettare l’uovo di Pasqua per scoprire l’ultima sorpresa di Schlein: se tratterà e riunirà tutto il partito, oppure tirerà dritta, sicura – come è, lo riferisce chi ci ha parlato in queste ore – che il “suo” Pd alle europee scavallerà il 20 per cento. E chi ha perso lo scorso congresso, avrà riperso.