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22 Dicembre 2022I democratici
di Maria Teresa Meli
Orfini: anticipare le primarie. I 3 candidati oggi da Letta
ROMA È Stefano Bonaccini, il candidato alla segreteria che sulla carta ha maggiori chance di vincere, a dare voce ai timori che agitano i dem: «I sondaggi lasciano il tempo che trovano ma certo il “Qatargate” è stato un pugno nello stomaco. Il rischio non è la scomparsa bensì l’irrilevanza, come è successo al Pasok greco o al Partito socialista francese».
Già, il Pd è in apnea dopo gli ultimi sondaggi che lo danno in picchiata, causa «Qatargate». Quel «Qatargate» che fa dire a Enzo De Luca: «Il partito è stato per 15 anni nelle mani di un gruppo dirigente di miserabili».
Tra i parlamentari si parla solo di sindrome francese o greca (più maliziosa quest’ultima versione che allude anche alla nazionalità di Eva Kaili). E ormai i dem non nascondono la difficoltà del Pd nemmeno in pubblico. Graziano Delrio e Debora Serracchiani, in vista dell’incontro di oggi dei tre candidati alla segreteria con Enrico Letta (ma Bonaccini sarà collegato da fuori), scrivono nero su bianco: «Il risultato del 25 settembre ha definitivamente messo in discussione la funzione storica del Pd, il senso stesso della sua esistenza». Mentre Goffredo Bettini ammette senza reticenze: «Adesso noi siamo una minoranza di un fazzoletto minoritario».
Del resto, del «rischio di uno scenario francese, stretti tra Conte, da una parte, e Renzi e Calenda, dall’altra» aveva parlato per primo Letta con Olaf Scholz, quando, a settembre, da segretario non ancora uscente, era volato a Berlino per incontrare il cancelliere tedesco a cui aveva confidato le sue preoccupazioni. Prima del voto, prima del «Qatargate». È proprio il timore per le sorti del Pd che ha spinto Franceschini ad appoggiare Schlein, come ha spiegato lui stesso ai suoi: «Lo so che Elly è il rischio ma questa è la fase in cui il Pd o rischia o muore». Un ragionamento simile a quello che va facendo Nicola Zingaretti, che però ancora non si è pronunciato, limitandosi a dire: «Non mi piacciono le semplificazioni di Bonaccini, sono una furbizia».
Chi appare meno pessimista rispetto a due mesi fa è invece Matteo Orfini. «Dopo due mesi di questa legislatura — dice ora il deputato dem — sono più fiducioso perché in Parlamento esistiamo solo noi nell’opposizione e questo alla lunga paga. Però serve un segretario nuovo, perché così non capitalizziamo nulla». Orfini ritiene che le primarie andrebbero anticipate. Matteo Ricci propone una data: il 22 gennaio. E anche la candidata alla segreteria Paola De Micheli vuole tagliare i tempi.
Ma nel caos dem che ormai impera sovrano c’è anche chi propone di posticipare le primarie, perché troppo a ridosso delle regionali di Lazio e Lombardia. Sul fronte Letta, però, al momento non arrivano segnali in un senso o nell’altro: «Non ci sono novità». Del resto, lo stesso Bonaccini non ha fretta: non vuole che da neo segretario gli si imputino le eventuali sconfitte di Lazio e Lombardia.
In questo scenario la scissione, evocata, temuta, ventilata, non sembra essere più un tabù. Anzi qualche dem si è convinto che ci sia chi ci sta lavorando. Ha tratto questa impressione qualche parlamentare dopo aver sentito Roberto Speranza, nella prima riunione del comitato costituente, dire così: «Deve essere chiaro l’intento di espungere il liberismo che si è insinuato nel Pd». Il leader di Articolo 1 si riferiva al «vecchio» manifesto dei valori del Partito democratico. Subito dopo in un piccolo capannello si è sentito un autorevole dirigente dem sussurrare: «Dare del liberista ad Alfredo Reichlin (uno degli estensori di quel manifesto, ndr) è il massimo. Questi vogliono entrare nel Pd per fare segretaria Schlein, spaccarlo, costringere i riformisti alla scissione e poi puntare ad allearsi con Conte. È il progetto di D’Alema. Per evitare la fine dei socialisti francesi c’è chi vuole trasformare il Pd nel partito di Mélenchon».