L’Iran funesta
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27 Ottobre 2022carlo bertini
«Le auguro di vincere la sfida del governo sapendo che noi saremo da un’altra parte», dice Matteo Renzi chiudendo il suo discorso in aula, dopo aver chiarito che non voterà la fiducia ma che «ci sono due opposizioni. Noi le saremo lealmente contro, ma sempre lealmente pronti a dare una mano per l’interesse del Paese». Morbido nei toni, accarezzato con gli occhi da Berlusconi e con le risate da Meloni, specie quando prende in giro gli ex compagni di strada del Pd. Colpevoli di aver criticato il “merito” e la “sovranità alimentare” aggiunti ai due ministeri di Istruzione e Agricoltura. «Ma come – dice rivolto a Simona Malpezzi – al governo eri una pasdaran del merito quando parlavi della legge sulla buona scuola. ..». Meloni gongola (alla fine si lascia scappare un «bravo»), Tajani e i ministri pure, Malpezzi e i dem friggono. Specie quando Renzi difende la premier che si fa chiamare “il” presidente del Consiglio. «Per me può anche scegliere un asterisco – dice tra le risate – intanto è la prima donna ad arrivare a palazzo Chigi. Andarla ad attaccare sulla rappresentanza femminile è masochismo», dice, sferzando Debora Serracchiani, protagonista del botta e risposta alla Camera con la premier. Insomma un’apoteosi a destra, mugugni a sinistra, dove mangiano la foglia. «Cosa ha in mente Matteo?» , è l’inquietante interrogativo che attanaglia tutti. «Duro con noi e latte e miele con Meloni», commenta acido Arturo Scotto del Pd. E se il Renzi d’aula è un florilegio di bordate contro i dem, il Renzi della buvette manda un avviso ai naviganti più preciso. Alludendo a intese con la maggioranza.
«Ragazzi, ma di cosa stiamo parlando? Uno che queste cose le sa fare, Dario Franceschini, prima mi ha detto: dovevamo darti un questore subito, così dopo non rompevi più…». Alla buvette Renzi tiene una lezione di prassi parlamentare a un capannello di cronisti, per far valere la ragione che anche il terzo Polo avrebbe dovuto avere la sua fetta di nomine istituzionali che spettano alle opposizioni, mentre Pd e 5stelle vogliono spartirsele da soli. E quando attacca il Pd, facendone il bersaglio dei suoi strali «non hanno capito che se non fanno un accordo con noi, rischiano di perdere le commissioni di garanzia…», l’ex rottamatore avvisa Letta: badate che la maggioranza potrebbe aver interesse di fare un accordo col Terzo polo e lasciare fuori voi dal Copasir e dalla Vigilanza Rai. Presenterete un vostro candidato al Copasir se non ci sarà un accordo con le opposizioni? «Potrebbe essere», risponde allusivo il leader Iv.
È chiaro che le unità di intenti tra la neo premier e i leader centristi possono essere tanti. A partire dalle cariche istituzionali, e proseguendo con le note più nobili delle riforme istituzionali. Fino ad arrivare ad altro. «Se la maggioranza vorrà sfidarci sull’elezione diretta del presidente del consiglio, quello che noi abbiamo chiamato il sindaco di Italia, noi ci saremo». Insomma, il Terzo polo c’è, non farà opposizione pregiudiziale, anzi. «Lei ha detto che nel caso andrò avanti da sola, per esperienza personale non lo consiglio… Il punto fondamentale è che se c’è un’apertura sulle riforme costituzionali, un “no” a prescindere è sbagliato», dice il leader di Italia viva, che prima di parlare spiegava di voler segnare una diversità rispetto a Pd e 5stelle, riconoscendo a Meloni quel che le spetta. Bersaglio delle accuse di chi sospetta che abbia fatto già un accordo con la maggioranza per avere la presidenza della Commissione di Vigilanza in capo a Maria Elena Boschi, con il placet di Berlusconi, dopo la vicenda dei voti di opposizione al presidente La Russa, Renzi viene spalleggiato alla buvette da Carlo Calenda. Che scherzando taglia corto: «Io, se mi fanno il rigassificatore a Piombino, voto pure La Russa presidente».