La crisi idrica in Europa: i fiumi si stanno prosciugando
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6 Luglio 2022Noi e l’ambiente
di Antonio Scurati
«adesso io e mia moglie abbiamo paura del futuro».
A dirlo è il genitore di una delle vittime della Marmolada e si riferisce al dramma di dover crescere una nipotina orfana di padre. Potremmo, però, dirlo tutti noi, legittimamente. Anzi, dovremmo dirlo. Il futuro, infatti, è diventato un brutto posto.
Per capire cosa intendo, interrogate il tono del vostro umore.
Non lo avvertite quel fondo di tristezza che guasta le piccole gioie di questa nostra estate tanto attesa, quel retrogusto amaro che avvelena la dolcezza stagionale delle angurie e delle albicocche? Non la percepite quella malinconia strisciante che corrompe le vostre giornate con la delusione di una promessa non mantenuta? Davvero non riuscite a dare un nome all’affanno angoscioso che vi mozza il fiato nell’afa di un mondo irrespirabile, fino a farvi maledire l’estate, la stagione amata sin dall’infanzia, la «bella stagione» dell’infanzia delle nostre vite? Ecco, quella malinconia di fondo, quella delusione strisciante, quell’affanno angoscioso sono la cartolina che vi invia il vostro futuro.
Per millenni, nelle società tradizionali, l’umanità ha vissuto con lo sguardo rivolto all’autorità del passato, poi, a partire dalla Rivoluzione francese, venti generazioni di donne e di uomini hanno legittimamente sperato che la vita dei loro figli e nipoti potesse essere migliore della loro e di quella dei loro padri. Fu un’autentica rivoluzione dello sguardo, non più rivolto indietro ma avanti. Quelle donne e quegli uomini avevano scoperto il futuro. E hanno lottato per esso, lavorato duramente, trepidato e creduto. Infine, a partire dagli anni 80 del secolo scorso, il futuro è stato dimenticato, forse ripudiato, rimosso, abbiamo cominciato a vivere confinati nel mero presente, abbiamo smesso di alzare lo sguardo sull’orizzonte. Il sole dell’avvenire è, allora, tramontato sull’Occidente.
Questa conversione del nostro collettivo sentimento del tempo, questa costrizione entro una dimensione temporale più angusta, è stata variamente etichettata come edonismo, egoismo, individualismo ma, forse, è venuto il momento di fare i conti con una verità più amara: abbiamo smesso di guardare al futuro perché non volevamo vedere, perché il futuro stava diventando un brutto posto.
Adesso non vedere è divenuto impossibile. La tragedia della Marmolada riguarda evidentemente tutti noi non per una facile, spesso ipocrita, retorica umanitaria ma perché sotto quella valanga di ghiaccio tagliente sono state sepolte le nostre residue illusioni di poter vivere ancora una bella vita, una bella giornata d’estate, una promessa di felicità. Peggio ancora: noi siamo i sepolti e i seppellitori. Nell’era dell’antropocene, la natura non c’entra più niente. Ora l’ambiente terrestre lo plasmiamo noi esseri umani. A staccare la valanga dal ghiacciaio — un tempo ritenuto perenne — sono stati i nostri appartamenti surriscaldati d’inverno, i nostri Suv da bambini mai cresciuti, le nostre bistecche al sangue, le nostre inettitudini, i nostri infiniti torpori di fronte al disastro ambientale incipiente. La valanga, insomma, siamo noi.
Siamo giunti a un punto di non ritorno e non soltanto sotto il profilo ambientale. Fino a ieri il surriscaldamento climatico era un’astrazione scientifica, ora è divenuto un dato esperienziale. Adesso tutti noi vediamo i desolati greti dei fiumi riarsi, tutti noi tremiamo per i venti tempestosi che infuriano come mai prima sui nostri corpi un tempo accarezzati da dolci brezze mediterranee, tutti noi fuggiamo un sole assassino, tutti noi malediciamo l’estate. Il punto di non ritorno, perciò, è anche morale. O reagiamo adesso, o riprendiamo in mano adesso il nostro destino generale e facciamo tutto quello che può esser fatto per invertire la deriva suicida del cambiamento climatico, o non lo faremo mai più. Se non riprendiamo la lotta per il futuro adesso collettivamente, soccomberemo presto allo sconforto individualmente, all’inerzia, a un malinconico abbandono.
Il giorno del «si salvi chi può» è vicino. Quel giorno, va da sé, non si salverà nessuno.