«Macché aprile, è agosto il più crudele dei mesi. Ma come? Io me ne stavo tranquillo al mare, e il Churchill dei Parioli dà il calcio sui maccheroni del centrosinistra e rinnega l’accordo? Aho’, sarà l’estate, ma a me sembra che le sinapsi di tutti stiano girando al contrario…».
Le sue invece funzionano benissimo. Con Roberto D’Agostino il problema non è farlo parlare: è farlo smettere. Alluvionale, divagante, divertente, certo: ma sempre benissimo informato e molto lucido. Del resto, i politici italiani si dividono in due categorie: quelli che ammettono di leggere Dagospia e quelli che mentono (anzi, ce n’è anche una terza: quelli che a Dagospia telefonano pure…).
Dunque, dicevamo del Churchill dei Parioli.
«No, da adesso Carlo Calenda è Bullo da solo. Per carità, nel suo pieno diritto di fare tutti gli strappi, strappetti e strapponi che vuole. Però sembra quel signore che vedeva arrivare il diluvio universale ed era indeciso se uscire con l’ombrello…».
Ma alla fine è lui che ha rotto con Letta o Letta con lui?
«Ah, qui Freud ci avrebbe scritto quattro libri, che so, una Psicopatologia della politica quotidiana. Calenda mi sembra un bipolare con qualche disturbo di personalità. O forse non ha capito che quella che Letta gli offriva non era un’alleanza politica, ma sui numeri. Un Fronte repubblicano, come lo chiama Marcello Sorgi. In Francia lo si fa al secondo turno, quando tutti si uniscono per impedire che vinca Le Pen. In Italia, dove il secondo turno non c’è, prima del primo, per impedire che stravinca Meloni».
Circostanza che pare scontata.
«Sì. Però io dei sondaggi non mi fido troppo. Sono cento telefonate, fatte oltretutto a numeri fissi, tipo telefono della nonna. Infatti a ogni elezione escono gli articoli sui sondaggisti che non avevano previsto questo o quello…».
Non divaghiamo. Letta avrà qualche responsabilità pure lui…
«Il Sotti-Letta? Poverino, ci ha provato. Ha tanti difetti, il primo dei quali è che non ha capito che in tivù o sullo schermo di un telefonino bisogna parlare per slogan. Un articolo è troppo complesso, bisogna limitarsi a occhiello, titolo e catenaccio, e forse è troppo anche così. L’alleanza gli è esplosa in mano perché hanno tutti degli ego sovradimensionati. Anche la Dc erano almeno cinque partiti in uno, ma composti da gente con le rotelle a posto. E invece qui Italia Calenda est».
E Renzi?
«Renzi mi ricorda uno che vince alla lotteria e perde il biglietto. Ma come? Porta il Pd al 40 per cento e poi lo distrugge? Ha talento, dicono. Vero: ma in politica più del talento conta il carattere. E il suo è quello di un provinciale frustrato, che vorrebbe farsi accettare, non ci riesce (a Firenze, poi, la città più classista d’Italia, dove Renzi resta quello che viene dal contado) e allora fa lo spaccone. Alla fine, farà l’alleanza con Calenda e poi naturalmente litigheranno».
Resta Conte.
«Poverino, non si è reso conto che Grillo gli sta resettando il Movimento. Infatti Grillo sta zitto, non fa campagna, si gode le vacanze a Porto Cervo e sulla riva della Costa Smeralda aspetta che dopo la disfatta passi il cadavere del Ciuffo catramato. Conte finirà come senatore semplice a raccontare a tutti di quando contava qualcosa e parlava con Merkel… Lo fa già».
Davvero?
«Sì. È stato l’unico italiano beneficiato dalla pandemia, altrimenti mai sarebbe finito a Palazzo Chigi. Fra un po’ inizierà a rivedere i filmini di quando andava al G8, come le dive sul viale del tramonto. Del resto, da anni propongo l’istituzione di una specie di San Patrignano per i celebro-lesi caduti».
Avanti a destra, allora: Giorgia Meloni.
«Su di lei c’è un mistero».
Quale?
«Perché non dica chiaro e tondo: io sono antifascista. Ha già detto che è atlantista, europeista, pro Ucraina. Quando le chiedono dell’antifascismo, parte sempre con la supercazzola del passato consegnato alla storia e così via. Ma dilla, ‘sta frase, no? Perché non la dice?».
Perché mezzo partito non gradirebbe.
«E allora è vero che con una classe dirigente di La Russa e Santanché assortiti non va da nessuna parte. Crosetto ha detto proprio a La Stampa che gli uomini per governare li hanno ma non sono noti. Sarà. Però ricordo che, alle amministrative a Roma, Meloni ha candidato un impresentabile tribuno radiofonico, oltretutto laziale. Ve lo ricordate Michetti? Vero che, nella stessa tornata, a Milano Salvini ha candidato Bernardo, il pediatra con la pistola caro a Ronzulli. Roba da matti».
Salvini e Berlusconi?
«Il Truce e il Banana? Gli unici due veri antifascisti d’Italia, nel senso che come detestano loro Giorgia non la detesta nessuno. Salvini in privato la chiama “Rita Pavone”».
Però sono loro ad avere provocato le elezioni e il probabile ingresso di Meloni a Palazzo Chigi.
«A Salvini qualcuno ha fatto presente che, continuando così, era tutt’altro che certo che nel 2023 sarebbe stato ancora il segretario della Lega. A Berlusconi le badanti Ronzulli e Fascina hanno fatto balenare la possibilità di prendersi una rivincita, anche perché nel frattempo Gianni Letta non viene più ascoltato, è stato estromesso dai consiglieri. Ma il suo vero pensiero sugli alleati Silvio l’ha detto un anno fa in un momento di residua lucidità: Meloni o Salvini a Palazzo Chigi? Ma che scherziamo?».
Invece ci andranno. Ma un governo Meloni quanto durerebbe?
«Mah. La destra vincerà per forza, con tutto l’aiuto che le sta dando la sinistra… Ma questi non hanno capito che l’Italia è un Paese a sovranità limitata. Dove si decide davvero, a Bruxelles o a Washington, l’idea che vadano al potere a Roma due amiconi di Putin come Salvini e Berlusconi non piace tanto. Mai le elezioni italiane saranno osservate dall’intelligence di tutto il mondo come queste. Meloni ha sbagliato a dare l’intervista alla Fox: è la tivù più vicina a Trump, invece di rassicurare ha ulteriormente preoccupato i poteri forti. Ma basta che Lagarde smetta di comprare Bot italiani e finiamo tutti con il sedere per terra».
Non sembra molto ottimista.
«Per nulla. Siamo sull’orlo del burrone. Anzi, visto che sono al mare a Sabaudia, siamo sull’orlo del burino».
QUELL’ODIO CHE CONTINUA A VIVERE IN MEZZO A NOI
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