La Lega non entrerà nel merito delle vicende Santanchè e La Russa. Ma dietro si nasconde lo scontro in vista delle Europee
Basta “risse” con i giudici, basta con la tentazione di lasciarsi andare a “vendette” contro la magistratura. Se riforma della giustizia deve essere — e la Lega intende sostenerla — che si sgombri il campo dai veleni generati dalle ultime inchieste che hanno coinvolto dirigenti di prima fascia di Fratelli d’Italia. Ecco la strategia che sta dietro alla presa di posizione del Carroccio. Una linea inedita, se si considera che a bollinarla è un “incendiario” come Matteo Salvini. Un posizionamento che certo non piacerà a Palazzo Chigi, ma che il leghista sposa comunque, dopo giorni di silenzi e imbarazzi. Una decisione che prelude a uno scontro nella maggioranza. E che potrebbe determinare un effetto certo non sgradito a via Bellerio: indebolire la Presidente del Consiglio.
Non avvelenare il clima, dunque. Vuole dire prima di tutto scegliere di abbassare i toni con le toghe. Si traduce anche nel fatto che la Lega non entrerà nel merito delle inchieste che hanno scosso Fratelli d’Italia. Non c’è nulla di casuale, in questa svolta di Salvini. Il segretario ha vissuto con fastidio l’opa ostile di Fratelli d’Italia su Forza Italia, ma soprattutto ha interpretato come una minaccia esistenziale la mossa della premier di giocare una partita per le Europee del 2024 che punta a relegare il Carroccio in un angolino isolato dell’Europarlamento. Per questo, reagisce.
Non c’è nulla di casuale, anche perché alcuni dettagli pesano. Il primo: il vicepresidente del Csm è stato indicato alcuni mesi fa proprio dalla Lega. Conta poi anche un altro elemento, in queste ore: è convinzione diffusa ai vertici dell’esecutivo che al Colle non abbiano certo apprezzato l’escalation contro i magistrati. Senza dimenticare che Giulia Bongiorno, che decide la linea della Lega sulla giustizia, non è certo uno sponsor del muro contro muro con i giudici.
Lo scontro all’interno del centrodestra stava incubando da giorni, ma tutto è esploso con lanota. Firmata per una volta non da Salvini o da uno dei suoi capigruppo, ma significativamente dalla “Lega”. Vuol dire che il leader pensa di interpretare anche il sentimento dei governatori, spesso poco inclini ad assecondarlo. Stavolta è diverso, anche perché è Meloni ad aver scelto lo scontro con i magistrati. E Salvini ha gioco facile a distinguersi.
Il leader, ad esempio, ha spiegato ai suoi che non ci sarà alcuna difesa “a prescindere” degli indagati di Fratelli d’Italia. È un passaggio chiave. Che si può anche tradurre con un più brutale: non copriremo in modo acritico gli esponenti di FdI in difficoltà. Per giorni, i leghisti hanno negato sponda e sostegno a Daniela Santanchè. Sono stati i primi a chiedere alla ministra del Turismo di riferire in Parlamento, costringendo Meloni a stravolgere i piani: la strategia iniziale non prevedeva infatti un rapido passaggio in Aula. Il resto l’ha fatto il discorso pronunciato da Santanchè al Senato, sotto gli occhi stupiti di Salvini (comunque presente, e non era scontato).
Ma non basta. Perché la freddezza riservata alla responsabile del Turismo assomiglia molto da vicino al silenzio dedicato tre giorni fa a Ignazio La Russa. Il presidente del Senato ha scelto una linea pubblica di difesa del figlio, denunciato per violenza sessuale, che non ha convinto il Carroccio. Nessun dirigente leghista lo ha difeso (a dire il vero, per molte ore neanche da Fratelli d’Italia si sono alzate voci a sostegno, ad eccezione di Edmondo Cirielli).
Gli amici si vedono nel momento di difficoltà. E Salvini rende alla premier un trattamento simile a quello ricevuto nella partita europea, dove il Carroccio subisce e subirà una conventio ad excludendum dalle famiglie europee tradizionali, a causa anche dell’alleanza con il Rassemblement National di Marine Le Pen e gli estremisti nazionalisti tedeschi dell’Afd. Senza che Fratelli d’Italia muova un dito.
Tutto parte dalle recenti mosse di Meloni, decisa a conquistare l’eredità e i voti di Silvio Berlusconi, convinta della necessità di favorire una progressiva e ineluttabile fusione con Forza Italia per costruire in Europa un’intesa tra popolari e conservatori. È per la Lega, come detto, una minaccia esistenziale. Significa isolamento europeo. E se anche in questa fase la propaganda meloniana continua a mantenere un’ambiguità strategica sul rapporto con Identità e democrazia (il gruppo in cui milita Salvini a Bruxelles), una cosa è certa: Palazzo Chigi vuole fuori dai giochi i leghisti e i suoi partner. Sostenere una cosa diversa significherebbe precludersi ogni margine di trattativa con i Popolari, costringendosi all’irrilevanza. Ecco il terreno su cui si gioca la sfida tra i due leader della destra italiana. Difficile che finisca con un pareggio.