Marine Le Pen ha picchiato dove fa più male, perché ci si può voler alleare con Ursula von der Leyen, si può procedere a braccetto con la presidente quasi come migliori amiche, però se si guida un partito apertamente di destra non lo si può ammettere. Così, per la prima volta, la reazione di Giorgia Meloni all’attacco dell’alleata europea del suo alleato italiano è visibilmente piccata, quasi irritata: «Tutti sanno che la mia strategia è portare una maggioranza di centrodestra anche in Europa. Dividere e far prevalere la campagna elettorale è l’unico favore che si può fare alla sinistra». Sinistra aborrita in Europa come in Italia: «Tutti sanno che se c’è una che con la sinistra non ha mai governato e mai governerà si chiama Giorgia Meloni». Tanto per ricordare al Salvini ruggente che lui, invece, con il Pd al governo c’è andato eccome.
NON È CHE LA PREMIER dica bugie. Per lei l’optimum sarebbe davvero una maggioranza di centrodestra anche in Europa. Solo che è impossibile perché almeno per ora e senza ipotecare il futuro per il Ppe quelli di Identità e Democrazia sono infrequentabili, tranne ovviamente proprio Salvini. Tajani conferma anche lui con i dovuti toni da campagna elettorale: «Noi siamo il Ppe. Siamo europeisti e per la Nato: non andiamo con Le Pen o l’AfD». Il problema, per Meloni, si porrà quindi quando sarà certificato dalle urne, come è peraltro certo, che il suo obiettivo non è realizzabile. Per ora prova a cavarsela con un discorso tra i più confusi: «L’importante non è il presidente ma la maggioranza che lo sostiene e che determina le politiche europee»: sembra la ricerca per votare von der Leyen e poi assicurare che tuttavia non si fa parte della sua maggioranza. È quasi un gioco di parole dal momento che il Parlamento europeo non è quello italiano, non c’è una maggioranza se non appunto quella che si forma nel voto per la presidenza.
La replica della Lega, naturalmente polemica, è affidata a una nota: «La Lega auspica un centrodestra unito in Europa come in Italia. Purtroppo fino a oggi sono arrivati solo veti sugli alleati della Lega. Speriamo che nessuno nella coalizione preferisca governare l’Europa con Macron e i socialisti piuttosto che con la Lega e i suoi alleati». Non è questione di auspici, però, ma di possibilità concreta. Meloni, terragna, vuole che l’Italia sia in postazione privilegiata con la prossima commissione, così come vuole poter indicare il proprio commissario senza veti e per questo è pronta a far parte, se necessario, di qualsiasi maggioranza.
IL PROBLEMA È CHE ANCHE questa strada non è affatto in discesa. Tra franchi tiratori, che spunteranno di certo, e franchi dissensi, come quello dei polacchi, von der Leyen rischia forte di non farcela comunque. Lo stesso gruppo Ecr, i Conservatori di Meloni, non sono affatto una falange pronta a sostenerla. Piuttosto il contrario, come gli spagnoli di Vox hanno già chiarito. Il veto del Pis polacco rischia poi di sbarrare la strada all’ingresso di Orbán nel Ppe e in quel caso la premier italiana deve solo augurarsi che l’ungherese, senza una casa europea, non veleggi verso i duri di Identità, con i quali avrebbe politicamente molto a che partire.
CON UN EUROGRUPPO diviso, la candidata del cuore traballante, i socialisti che saranno comunque necessari e i cugini/rivali di Identità che invece sono compatti almeno sul no alla riconferma dell’attuale presidente la situazione di Meloni non si profila facile. Oggi il solo dubbio è se candidarsi o meno: «Non ho ancora deciso, lo farò solo all’ultimo momento». Le scelte difficili arriveranno dopo la chiusura delle urne.