“Maledetta primavera” era il titolo di una famosa canzone degli anni Ottanta. Molto evocativo per questo governo, perché in primavera sono accaduti molti degli eventi che stanno alle origini della nostra Repubblica, e che a chi deve commemorarli o celebrarli non piacciono affatto. La Resistenza va bene, ci ha detto Giorgia Meloni l’anno scorso celebrando il 25 aprile, quando è stata combattuta contro il nemico esterno («le truppe di occupazione naziste»), ma non va più bene se viene associata agli antifascisti che in formazioni armate volontarie, cioè come partigiani, hanno combattuto sia contro i nazisti sia contro i fascisti che li avevano portati in Italia. Ecco perché Meloni non ama la parola “partigiani”. Preferisce “patrioti”.

È sicura di non contraddirsi? È difficile commemorare l’eccidio delle Fosse Ardeatine per chi proviene da una tradizione che non solo si alleò con la Germania di Adolf Hitler ma cercò anche, dopo l’8 settembre 1943, di ricostruire un governo fantoccio filonazista, la Repubblica Sociale di Salò. Dopo la caduta del regime di Mussolini, combattere per il fascismo significava fare una scelta di vita. Ora, come poteva un fascista essere un patriota nella Roma occupata del 1944? Poteva un fascista attaccare «le truppe di occupazione naziste»? Evidentemente no. E non perché rifiutasse i metodi terroristici.

Il Movimento dei Fasci di Combattimento si era fatto strada dal 1919 con attacchi terroristici alle case del popolo, ai municipi governati dai socialisti, alle sedi delle cooperative e del Partito Socialista. I fascisti erano esperti di terrorismo. Ma non usarono la loro esperienza contro «le truppe d’occupazione naziste», con le quali collaborarono nella selezione degli italiani da mandare a morte alle Fosse Ardeatine, scelti tra ebrei, resistenti e civili.

La celebrazione dell’80° anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine offre a Meloni e ai suoi la possibilità di illuminarci sul loro “patriottismo”. Ad esempio, attribuendo pari responsabilità per l’eccidio ai nazisti e ai partigiani. Così la Meloni: «Oggi l’Italia onora e rende omaggio alla memoria delle 335 vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, un terribile massacro perpetrato dalle truppe di occupazione naziste come rappresaglia all’attacco partigiano di via Rasella». Certo, perché la colpa fu dei partigiani che provocarono, senza i quali quell’eccidio non avrebbe avuto luogo. Una rappresaglia comprensibile, anzi realistica.

Non conta nulla che i nemici nazisti degli antifascisti pesassero il loro valore e quello degli italiani con un rapporto di uno a dieci. Conta che i nazisti furono provocati. Dunque, più che celebrare un massacro, il governo celebra una tragica necessità: le vittime del terrorismo causato dalla reazione delle bande partigiane per cacciare i nazisti da Roma e dall’Italia. Ma questo non era patriottismo? Sembra di capire che per Meloni quello che gli italiani avrebbero dovuto fare allora non era combattere, ma lasciare fare alle forze di occupazione naziste e agli Alleati. Stare a guardare. Come se la guerra che si combatteva nel loro Paese non fosse affare loro. Meloni dice di preferire la parola patriota. Bene. Allora ci spieghi cosa poteva significare essere patriota a Roma nel 1944. Logica vorrebbe che significasse combattere contro «le truppe di occupazione naziste». Ma come, se l’esercito italiano non esisteva più? Come essere patrioti nella Roma del 1944 senza essere partigiani?