Il 64% degli italiani è favorevole all’introduzione del salario minimo. Non solo, il dato che più colpisce è che questa opinione è condivisa indipendentemente dal partito votato, ragion per cui il consenso è trasversale. È quanto emerge da un’analisi effettuata dall’Istituto demoscopico Noto Sondaggi per Repubblica . Evidentemente la contrazione del potere d’acquisto sta gravando sulle famiglie più di quanto la politica si renda conto. Potrebbe esservi questo dietro il generalizzato parere positivo raccolto dalla proposta di introdurre una soglia minima salariale di 9 euro l’ora. La maggioranza degli italiani si dice, infatti, concorde, con percentuali all’interno dei bacini elettorali dei singoli partiti che arrivano quasi ai 90 punti e scendono al 48% solo tra chi vota FdI, mentre raggiungono rispettivamente il 74 ed il 57% tra i votanti FI e Lega. Invece nel Pd e nel M5S il salario minimo è condiviso dall’ 86 e dall’85% dei propri elettori. Un plebiscito per una proposta che invece sul fronte politico divide nettamente maggioranza, contraria all’introduzione di una soglia, e opposizioni, che con l’eccezione di Italia viva, cercano di trovare un punto di unione attorno all’iniziativa. L’appartenenza politica sembra dunque non avere alcun peso sull’opinione degli italiani su questo tema, è come se non venisse declinato in base alle categorie della politica ma solo in relazione ai benefici per i lavoratori. Nessuna obiezione fa breccia nel consenso alla proposta, né che la maggioranza dei lavoratori già prende di più (solo il 29% condivide questo concetto), né il rischio paventato che farebbe aumentare il lavoro nero e la disoccupazione (31% di condivisione), né che l’aumento del costo del lavoro si scaricherebbe sui prezzi (35% concorda). Solo il cosiddetto effetto boomerang, il rischio che, con l’imposizione di legge di una soglia minima, possa venir meno la contrattazione collettiva, spacca l’opinione pubblica in due ed in questo caso gli elettorati dei partiti di maggioranza continuano a pensare che il tema salariale dovrebbe restare nell’ambito della contrattazione sindacale. Quanto emerge nel complesso dovrebbe far riflettere la politica quanto i sindacati. Non perché si pregiudichi la capacità di rappresentanza dei corpi intermedi, quanto perché quello che sembra arrivare dagli italiani è la richiesta che vi sia un minimo salariale che non sia frutto di trattativa o che possa essere messo in discussione. Quest’interpretazione sembra trovare conferma nel fatto che la richiesta del “salario minimo ideale” non si discosta tanto da quanto l’ipotesi di legge prevede: per gli italiani il minimo dovrebbe essere 10,2 euro, una differenza minima rispetto ai 9 euro proposti, la qual cosa porta a ritenere che forse l’iniziativa normativa potrebbe accontentare comunque i lavoratori. Ma per il 22% degli occupati non si tratterebbe solo di una battaglia di principio. Sono coloro che dichiarano di percepire oggi meno della fatidica soglia dei 9 euro l’ora. Sulla scelta così netta a favore del salario minimo pesa anche la morsa dell’inflazione e dell’aumento dei tassi di interesse, in un momento storico in cui si parla dei lavoratori a rischio povertà.
Contano però ugualmente aspetti culturali legati all’approccio al lavoro in un’epoca destabilizzante quanto la rivoluzione industriale. La transizione ecologica e digitale sta mettendo in discussione le competenze e la stessa funzione del lavoro. Dalla diffusione dell’intelligenza artificiale sembra arrivare poi lo stesso pericolo di “sostituzione” da parte delle macchine che si percepiva durante la prima industrializzazione. In questo contesto la richiesta assume tutt’altro significato ed è l’introduzione di un principio di base che garantisca il riconoscimento del valore del lavoro dell’uomo.
Il tema del salario minimo andrebbe quindi affrontato senza i pregiudizi politici.
*direttore di Noto Sondaggi