Don Ciro e gli altri “Noi preti di periferia insegniamo la legalità dove manca lo Stato”
31 Agosto 2023In arrivo il nuovo vaccino Pfizer. L’Europa condannata al monopolio
31 Agosto 2023di Daniela Polizzi e Andrea Rinaldi
Dentro al Monte un «tesoretto» tra 1,5 e 3 miliardi di euro
Non solo a Roma. Anche nella piazza finanziaria di Milano, parallelamente alla ripresa dei lavori sulla Legge di Bilancio, hanno ricominciato a prendere quota ragionamenti e analisi su un possibile risiko bancario; un riassetto che la fiammata degli utili da margine di interesse aveva messo in secondo piano. E tutto, ancora una volta, converge sulla più «bella del reame»: il Monte dei Paschi. Gli investitori tornano a scommettere sull’aggregazione tra il Monte e Banco Bpm e spingono i rispettivi titoli. Il crocevia dell’operazione è ovviamente il Tesoro, azionista con il 64,2% di Mps, e il mercato si attende da Roma un segnale in direzione di Piazza Meda per avviare una valutazione della banca senese.
Non è un mistero che il governo abbia già messo in agenda l’accelerazione del suo disimpegno dall’istituto di credito toscano, di cui è azionista con il 64,2%. Lo impongono gli accordi con l’Europa e non farebbe male alle casse dello Stato visto che secondo i calcoli di alcuni analisti, Deutsche Bank per prima, la plusvalenza destinata al Mef si aggirerebbe intorno ai 400 milioni di euro, a fronte della sottoscrizione all’aumento di capitale di un anno fa da 1,6 miliardi (2,5 miliardi la ricapitalizzazione complessiva). Al guadagno ha contribuito la corsa del titolo, oggi a 2,63 euro, che ha ricevuto la spinta dal lavoro di ristrutturazione e rilancio condotti dal ceo Luigi Lovaglio. A testimoniare la riapertura del dossier sul Monte anche dagli acquisti che ieri hanno vivacizzato le azioni Mps a Piazza Affari, le migliori del listino per tutta la giornata (+1,94%). Ci sono però anche altre condizioni in grado di fare felice una banca aggregatrice. In primo luogo i crediti fiscali da imposte differite da Dta (deferred tax asset) che, secondo i calcoli degli analisti, per il Monte rappresenterebbero una dote di riguardo nel caso di un’operazione di m&a. Il Cet1 di Mps (l’indice di solidità patrimoniale, al 15,9% a inizio agosto quando Siena ha presentato i conti del secondo trimestre) potrebbe ricevere un’ulteriore spinta, da 1 a 3 miliardi di euro, nel caso in cui , il governo dovesse consentire di trasformare i crediti di imposta in capitale, come era stato previsto dal provvedimento temporaneo scaduto nel 2021.
Fabbriche di prodotti
Sia Siena che Piazza Meda puntano sullo sviluppo di fabbriche prodotto
Il filo rosso che porta i mercati da Mps a Banco Bpm è dato pure dalla strategia dei due istituti che puntano a svolgere il ruolo di fabbrica-prodotto che «aiuteranno a crescere quando il margine di interesse inizierà a risentire di uno scenario dei tassi in discesa», come aveva detto il ceo di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, che ha sempre detto di non essere interessato a eventuali merger. Piazza Meda ha in Anima il fulcro nel risparmio gestito con prodotti peraltro venduti agli sportelli di Siena. Per Mps vale lo stesso discorso nelle polizze, in partnership con Axa, che vengono proposte anche ai clienti di Piazza Meda. Sullo sfondo, Unicredit e Bper, che restano le possibili altre candidate alle nozze con Siena. Nel 2021 Unicredit aveva chiesto un «contributo» attorno ai 5 miliardi per salvare il Monte. L’asticella poi era salita fino a 8,5 miliardi e al ministero dell’Economia avevano preso atto di non poter andare avanti. Situazione radicalmente diversa oggi per Mps, una banca ora solida, che sta battendo i target del piano di Lovaglio. È più difficile, secondo il mercato, che si ripresenti a Siena. Poi c’è Bper, impegnata ancora a digerire l’aggregazione con Carige, e dunque più restia ad affacciarsi sul Monte.