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«Di Siena», nel Monte dei Paschi, è rimasto ormai solo il nome. La città, che da ormai dieci anni non la controlla più, avendo bruciato l’immenso patrimonio della fondazione, è come se l’avesse dimenticata. La sede dell’istituto è ancora a Rocca Salimbeni, la statua di Sallustio Bandini al centro della piazza lancia il solito sguardo severo ai suoi concittadini che transitano per Banchi di Sopra. Ma la politica non passa più da lì.
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Le elezioni comunali
Lunedì 26 maggio la città toscana ha eletto il suo nuovo sindaco, scegliendo per la prima volta una donna. A entrare sotto le arcate gotiche del palazzo comunale è stata la professoressa di italiano Nicoletta Fabio, contradaiola dell’Istrice sostenuta dal centrodestra e – si mormora – molto apprezzata dal premier Giorgia Meloni.
Il voto è arrivato al termine di una campagna elettorale nel corso della quale il destino di Mps ha giocato un ruolo secondario, anzi marginale. Poche e generiche le dichiarazioni fatte dai candidati, che hanno dato l’impressione di voler quasi evitare l’argomento. In un’intervista programmatica dove ha spaziato dall’economia alla formazione, dal turismo alle infrastrutture sino ovviamente al Palio, evento che per Siena «resta decisivo e identitario», Fabio ha speso poche parole per la banca: «È necessario vigilare sull’autonomia del Monte e soprattutto tutelare i livelli occupazionali», ha tagliato corto.
Le parole della sfidante
Non molto più prolissa è stata la sfidante di centrosinistra Anna Ferretti che, sempre in un’intervista, si è limitata a invocare per il Monte «una soluzione strutturale che salvaguardi l’autonomia e la permanenza diretta di una presenza dello Stato nella banca».
È peraltro significativo che, dopo aver usato la crisi di Mps per delegittimare il Partito Democratico e strappargli il primato in uno dei suoi feudi storici, oggi la destra abbia derubricato il tema facendolo così uscire dal confronto elettorale.
«Con questa campagna abbiamo assistito a una rimozione collettiva della vicenda Montepaschi. Non solo nessun candidato ha scelto di cavalcare il tema, ma quasi nessuno l’ha citato», spiega a MF-Milano Finanza Luca Fiorito, docente di economia presso l’Università di Palermo ed ex amministratore della banca. «Questo non significa che Siena abbia chiuso i conti con il proprio passato, né tanto meno che il vuoto economico lasciato dalla banca sia stato colmato». Insomma, una vera e propria rimozione.
Il declino di Siena
Sono passati 11 anni dalla prima inchiesta della Procura di Siena che nel 2012 accese un faro sulle operazioni strutturate del Montepaschi dando via a filoni di indagini che hanno travolto l’immagine dell’istituto ma che, negli anni, sono pressoché finite nel nulla, tra assoluzioni clamorose in via definitiva e processi di appello (a Milano) ancora pendenti.
Da allora la banca è passata attraverso aumenti di capitale per 18,5 miliardi, quasi 13 mila uscite di personale, dismissioni di asset e soprattutto un salvataggio da parte dello Stato ancora in corso. Con ogni probabilità il prossimo anno sarà decisivo per l’uscita del Tesoro dal capitale e quindi per il futuro della banca che, sotto la guida dal ceo Luigi Lovaglio, sta uscendo dall’angolo. Eppure Siena appare ormai distante da tutto questo.
«Nel dibattito politico non si parla più di soluzioni per mantenere anche dopo la privatizzazione un radicamento, anche simbolico, nel territorio cittadino dove pure oggi la presenza di Mps rimane sostanziale», continua Fiorito. Nonostante le recenti ristrutturazioni (da ultimo quella di oltre 4.000 esodi dello scorso anno), la banca rimane infatti il principale datore di lavoro di Siena con la storica sede di Rocca Salimbeni, il centro direzionale di via Mazzini, il polo di San Miniato e il consorzio operativo di via Ricasoli.
Gli effetti della crisi della banca
Sono però lontani i fasti del passato, quando valeva l’adagio «se incontri tre persone a Siena uno lavora al Monte, un altro è pensionato del Monte e il terzo aspira ad entrare al Monte». Misurare gli effetti della crisi della banca sulla città non è semplice; ci ha provato l’economista Jacopo Signorelli con un’analisi pubblicata su Lavoce.info. Signorelli ha esaminato l’evoluzione del reddito totale del comune di Siena, osservando che dopo il 2011 il calo è stato più forte rispetto a quello registrato nelle altre città della Toscana. È emerso un gap che prima non c’era.
Dall’evoluzione dell’indice di Gini che misura le disuguaglianze si evince inoltre che dal 2011 in poi i redditi medio-alti hanno sofferto più degli altri, con una riduzione delle tre fasce più alte, ovvero dai 55 mila euro in su. Forse sono i tanti dirigenti in meno in banca. Dopo la crisi del Monte il tasso di disoccupazione a Siena è cresciuto più che nel resto della Toscana, con uno scarto che è rimasto costante a riprova della persistenza delle problematiche dell’economia locale.
Quanto all’attività imprenditoriale, i dati della Camera di Commercio mostrano un calo del numero di nuove aziende, almeno sino al 2021. I livelli sono comunque lontani rispetto a quelli dell’inizio del decennio scorso: se nel 2010 le iscrizioni al registro delle imprese in ambito provinciale erano state 1.841, nel 2021 il numero era calato a 1.321.
Le aziende di Siena
La debolezza del tessuto produttivo non è una novità. A parte Mps, Siena non ha mai espresso aziende con un fatturato superiore ai 400 milioni. Oggi i gruppi più grandi nella provincia sono realtà come la Siderurgica Fiorentina della famiglia Bucciarelli, la cooperativa di grande distribuzione Etruria Retail, l’azienda vetraria Rcr Cristalleria Italiana e la Vismederi di Emanuele Montomoli, attiva nel mondo dei vaccini.
Molti dei big del territorio sono peraltro stranieri, come la francese Trigano che produce caravan e l’americana Generac che controlla l’ex Pramac, leader nella produzione di generatori elettrici. Il maggiore soggetto internazionale presente nella provincia rimane comunque la multinazionale farmaceutica inglese GlaxoSmithKline, che è presente con il centro ricerche e con lo stabilimento di Rosia, attivo nella produzione di vaccini su scala globale.
La scommessa sul pharma
Il pharma è diventato la grande scommessa di Siena negli ultimi anni, anche alla luce delle crescenti sinergie tra l’università guidata dal rettore Roberto Di Pietra e le diverse strutture attive sul territorio. Con il Biotecnopolo la città punta a promuovere l’hub italiano per la ricerca, lo studio e la prevenzione delle pandemie. Potendo contare su 300 milioni di euro di risorse, l’iniziativa (che ha come consulente l’immunologo Anthony Fauci ed è stata voluta dall’ex segretario del Pd Enrico Letta) ha l’obiettivo di creare fino a 300 nuovi posti di lavoro.
Se prima era Siena a trainare il territorio, oggi appare indietro rispetto alle altre province. Arezzo per esempio vanta oggi un tessuto produttivo più forte, in grado di attrarre manodopera dalla vicina Siena. Nella vicina cittadina, dove pure è fallita una banca signiticativa come Banca Etruria, sono attivi gruppi come Chimet, Italpreziosi, Tca o Safimet. Arezzo inoltre può contare sulle iniziative di imprenditori come Patrizio Bertelli, molto attivo nella vita economica della città: dopo aver comprato un ristorante e uno storico caffè, il marito di Miuccia Prada si è aggiudicato l’edicola di piazza San Jacopo, aperta ininterrottamente dal 1947. Iniziative che hanno catturato l’attenzione non solo della comunità locale, ma anche del New York Times, che ha mandato un inviato a raccontare il Bertelli imprenditore locale.
Per Siena il declino è inevitabile? Forse no, anche se per ora la politica locale non ha trovato la ricetta della svolta. Nel frattempo la banca sembra abbandonata al proprio destino. I senesi preferiscono dedicarsi ad altro. Mps ormai è un problema del governo. E dei suoi futuri azionisti. Di Siena, c’è ancora la S.