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La notizia del concerto di Giusy Ferreri costato 250mila euro per accompagnare il passaggio del Giro d’Italia a Siena non può che suscitare perplessità, al di là dell’artista coinvolta e della cifra puramente simbolica di 30mila euro destinata alla sua performance. A pesare sono soprattutto le scelte politiche e gestionali che emergono dal dettaglio dei costi, la logica emergenziale e la mancanza di una visione coerente con le reali esigenze culturali, economiche e civiche della città.
La cifra complessiva è composta da voci che dicono più di quanto non vogliano nascondere: oltre 89mila euro in strutture e service, 73mila per la copertura del campo, 15mila per l’ospitalità dello staff e quasi 10mila per la sicurezza. Il concerto è stato presentato come gratuito per il pubblico — ed è forse anche per questo che si è parlato di “successo” — ma il costo reale dell’evento è stato interamente a carico del Comune. In altre parole, gratuito per i cittadini in quanto spettatori, ma pagato dai cittadini in quanto contribuenti. Una scelta che, pur rivestita di popolarità, ha comportato un forte impiego di risorse pubbliche per un evento effimero, privo di un ritorno economico misurabile e senza alcuno strumento di valutazione oggettiva.
L’accostamento tra un evento ciclistico di grande rilievo come il Giro d’Italia e un concerto pop avrebbe potuto rappresentare un’occasione per immaginare un modello integrato di promozione territoriale, mettendo in relazione sport, cultura e rigenerazione urbana. Invece, ci troviamo di fronte a un evento fine a se stesso, confezionato con costi da grande festival e senza alcuna capacità di generare valore duraturo per la città. Se l’obiettivo era il “ritorno d’immagine”, come affermato in Consiglio, è lecito domandarsi quale immagine sia stata restituita della città di Siena — e a chi.
La dichiarazione dell’assessore Lorenzo Lorè, secondo cui “la copertura ha salvaguardato il campo”, è il sintomo di una gestione tattica, non strategica. Se la preoccupazione principale era proteggere il prato dello stadio, forse il concerto non era lo strumento più adatto. E se oggi si valuta l’acquisto della copertura come modo per “ammortizzare la spesa”, si ammette implicitamente che l’investimento iniziale non era frutto di alcuna programmazione.
Nel frattempo, non esiste alcun bilancio sociale o culturale dell’evento. Nessuno ha parlato di turismo, di permanenza in città, di connessioni con le realtà locali, di coinvolgimento di artisti senesi o di economia creativa. Si è trattato di un’iniziativa estemporanea, senza che la città potesse realmente partecipare alla sua costruzione o trarne benefici duraturi.
Questa vicenda non è un caso isolato. È parte di un modello di gestione culturale e urbana che privilegia eventi spot, legati alla visibilità mediatica e a una presunta “attrattività”, ma del tutto sganciati da investimenti strutturali nella vita culturale della città. Siena non ha bisogno di spettacoli costosi finanziati con fondi pubblici, ma di politiche lungimiranti che investano nel medio periodo, che sostengano le filiere artistiche e creative locali e che colleghino i grandi eventi a strategie concrete di rigenerazione urbana e culturale.
Come abbiamo più volte evidenziato, il rischio è che si finisca per sostituire la cultura con l’intrattenimento, la cittadinanza con il pubblico, e la progettazione con l’improvvisazione. Non basta riempire uno stadio per poter parlare di successo: ciò che conta davvero è ciò che resta il giorno dopo. E da questo punto di vista, oggi, resta ben poco.