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6 Giugno 2025Trent’anni di Fondazione, ma una città non dimentica
Editoriale
Trent’anni di una grande Fondazione nata da un’istituzione antica e potente. Una celebrazione, quella messa in scena in un prestigioso complesso monumentale cittadino, che ha il sapore dolciastro della retorica e il retrogusto amaro di una memoria selettiva. Si è parlato di coesione, innovazione, radici profonde e futuro sostenibile. Ma ci si è dimenticati di ricordare – con onestà e responsabilità – ciò che questi trent’anni hanno anche rappresentato: la fine di un modello, la crisi di un sistema, la perdita di una visione condivisa.
Non è serio, né giusto, raccontare questa storia come un percorso lineare e virtuoso. L’ente in questione, insieme alla realtà da cui proviene, è stato protagonista – e non semplice spettatore – della crisi più profonda che abbia colpito il territorio negli ultimi decenni. Una crisi di potere, di rappresentanza, di fiducia. Una crisi che ha eroso posti di lavoro, svuotato l’impresa locale, spento l’ambizione collettiva di una comunità che per secoli aveva saputo tenere insieme identità e apertura.
La Fondazione ha avuto un ruolo centrale in questo processo. Ha esercitato influenza, orientato risorse, sostenuto progettualità discutibili, alimentato dinamiche chiuse e autoreferenziali. Quando tutto è crollato, ha cercato di sopravvivere a se stessa, trasformandosi in soggetto erogativo privo di strategia, incapace di ridefinire una missione credibile e pubblica.
Oggi si torna a parlare di “capitale umano”, “coprogettazione”, “inclusione”. Parole giuste, senza dubbio. Ma se pronunciate senza una reale assunzione di responsabilità rispetto al passato, suonano vuote. Perché non c’è sviluppo senza verità, non c’è coesione senza giustizia, non c’è futuro senza memoria. La città ha bisogno di un nuovo patto civico, non di commemorazioni rituali.
La Fondazione può ancora avere un ruolo. Ma solo se avrà il coraggio di rompere con l’autocompiacimento, ammettere le proprie responsabilità e uscire definitivamente dal perimetro rassicurante delle consuetudini. Ascoltare davvero significa sporcarsi le mani con la realtà, non ripetere formule vuote né accontentarsi di progettini a bassa intensità. O si investe in autonomia, lavoro vero, formazione libera e innovazione che cambia la vita delle persone — oppure si resta un’ombra del passato, utile solo a celebrare sé stessa.