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di Massimo Franco
Le reazioni delle opposizioni erano scontate. Dopo gli attacchi di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani alla Corte di Cassazione, «colpevole» di avere chiesto che lo Stato risarcisca gli immigrati della nave Diciotti, come minimo la sorpresa andava prevista. Anche perché è la coda del processo al quale fu sottoposto l’allora ministro dell’Interno, il leghista Salvini, oggi vicepremier. E che si è concluso con la sua assoluzione dall’accusa di sequestro di persona. In questo senso, la sentenza può risultare controversa.
Ma le parole stringate e durissime con le quali la presidente della Cassazione, Margherita Cassano, ha bollato gli «insulti» arrivati dal governo, richiamano al rispetto delle leggi. Ripropongono un conflitto tra politica e magistratura, difficilmente liquidabile come scontro con le «toghe rosse». «Le decisioni della Corte di Cassazione, al pari di quelle degli altri giudici, possono essere oggetto di critica. Sono invece inaccettabili», ha scritto Cassano, «gli insulti che mettono in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda lo Stato di diritto».
Si tratta di un salto di qualità nello scontro in corso da mesi: tanto più che non può essere attribuito all’Anm o a una corrente antigovernativa della magistratura. Fa pensare subito al clima che si creerebbe qualora si arrivasse al referendum sulla separazione delle carriere tra giudici e procure, ritenuto quasi inevitabile. E per di più, arriva dopo il tentativo di dialogo con l’Anm, abbozzato nell’incontro dei giorni scorsi a Palazzo Chigi: sebbene si fosse concluso con un nulla di fatto.
Non si può non constatare ancora una volta che qualunque decisione sgradita all’esecutivo provoca una reazione tesa a delegittimare la magistratura: reazione unanime, seppure con toni diversi. E tale da far sorgere il sospetto che nasca anche dalla voglia di deviare l’attenzione dai contrasti presenti nella maggioranza su molti altri temi, a cominciare dalla politica estera. La Cassazione ha stabilito che il comportamento del governo M5S-Lega, e in particolare di Salvini, provocò «un danno ingiusto» ai migranti a bordo: un danno che lo Stato dovrà risarcire.
Il fatto che il premier grillino del 2018, Giuseppe Conte, non sia chiamato in causa, aumenta il disappunto della maggioranza. Ma l’attacco è soprattutto ai giudici. «Sentenza vergognosa. Paghino di tasca loro, se amano tanto i clandestini», li bolla Salvini. E Meloni: «Non credo che queste decisioni avvicinino i cittadini alle istituzioni. Confesso che è molto frustrante». Chiosa del vicepremier Tajani: «Se tutti gli immigrati irregolari chiedessero un risarcimento, facciamo fallire le casse dello Stato». Sono tesi che rilanciano un principio a dir poco discutibile: che per difendere i confini nazionali, i limiti della legge passano in secondo piano.