«Serve uno sforzo di rigenerazione che permetta di disegnare un Piano B, preso atto dei tanti fallimenti che si sono susseguiti in questi anni». L’estate 2023 ha visto celebrare l’ottantesimo anniversario del codice di Camaldoli, che per i cattolici nel 1943 rappresentò il piano A, la chance di diventare classe dirigente del paese dopo il disastro del fascismo, e poi, molto più sottotraccia, i trent’anni dalla fine della Dc, nel 1993.
Questa mattina sarà presentato al meeting di Rimini di Comunione e liberazione il Piano B, «nuove mappe per chi ci crede ancora», per «un terreno di azione comune, su cui fare massa critica». Non un nuovo partito, giurano i promotori, semmai uno s-partito. Con 12 parole parole-chiave: Origine, Europa, Beni comuni, Giustizia, Educazione, Sussidiarietà, Abitare, Generazioni, Lavoro, Investimento, Innovazione, Contribuzione.
Tra i promotori ci sono gli economisti Leonardo Becchetti e Luigino Bruni, l’ex sindacalista Fim-Cisl Marco Bentivogli, coordinatore di Base Italia, i sociologi dell’università Cattolica Mauro Magatti e Chiara Giaccardi, la sociologa Chiara Collicelli, il demografo Alessandro Rosina, l’urbanista Elena Granata, l’ex presidente del Cese (Comitato economico e sociale europeo) Luca Jahier, l’ex presidente delle Acli Roberto Rossini, oltre a Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà e due ex ministri del governo Draghi, Marta Cartabia e Enrico Giovannini.
Il punto di partenza, esplicito fin dal nome scelto, è il fallimento del Piano A. Per il paese il piano A è stato un progetto di capitalismo senza lavoro e di capi senza partiti che ha teorizzato la distruzione dei corpi intermedi: il risultato è un paese più povero, sul piano economio e politico.
Per i cattolici è la necessità di una exit strategy. Trent’anni fa, per inciso, chiuse i battenti anche il Movimento popolare, che era stato il braccio politico di Comunione e liberazione, fondato da Roberto Formigoni nel 1976, il serbatoio di voti per i candidati di Cl nelle liste della Dc (come Formigoni) o appoggiati da Cl (come Giulio Andreotti). Alla fine del 1993, il Movimento popolare confluì nella Compagnia delle Opere e non per caso. Finiva la Prima repubblica, cominciava il bipolarismo nel segno di Berlusconi, anche il mondo cattolico si spaccò in due. Ma si dimentica che il bipolarismo ecclesiale aveva preceduto quello politico.
La Dc teneva insieme figure e ambienti che nella chiesa italiana si erano già divisi da tempo, come ad esempio al convegno di Loreto del 1985. La pietra di inciampo era stata la scelta religiosa post Concilio, che per un pezzo del laicato e della gerarchia ecclesiastica significava non identificare la fede con la politica, o con una sola opzione politica, una scelta di laicità, e per un altro pezzo, ben rappresentato da Cl, un rifugio nel privato, una diserzione dal mondo, a vantaggio di ideologie nemiche della chiesa.
LA SCELTA RELIGIOSA
Per questo la “scelta religiosa” di Cl, operata nel 2012 dallo spagnolo don Julián Carrón, successore di don Luigi Giussani, è stata ben più del disconoscimento del sistema di potere di Cl in Lombardia (ieri Roberto Formigoni in una lettera pubblicata dal “Corriere” si è detto offeso dello scandalo di don Carrón, con anni di ritardo e con una buona dose di faccia tosta).
Dopo quel disastro etico, politico e perfino ecclesiale (vedi la sconfitta del cardinale Angelo Scola nel conclave del 2013 che elesse papa Jorge Mario Bergoglio), la galassia di Cl si è ritrovata in mare aperto, senza le antiche certezze. Non poteva più identificarsi con uno schieramento politico (il centrodestra berlusconiano) o con il vitello d’oro che aveva promesso di proteggerla e che invece l’aveva mollata.
Oggi Cl sconta la crisi, cerca nuovi compagni di strada, come padre Francesco Occhetta e il gruppo di Connessioni. Ma, come tutti gli altri pezzi del mondo cattolico, corre il rischio dell’irrilevanza. Un cembalo che tintinna, parole che non risuonano più.
Per trent’anni, ha detto Giuseppe De Rita (citato dal cardinale Matteo Zuppi a Camaldoli) «il mondo cattolico italiano si è autoinflitto una duplice avvilente illusione: poter essere il lievito che entra nella pasta dei vari partiti per condizionarne, almeno in parte, i programmi; esercitare con successo il potere come influenza, prescindendo dal potere come potenza. Davvero pie illusioni». Le illusioni sono finite da tempo, il punto di partenza del Piano B, si legge, «è un lavoro collettivo e corale, senza protagonismi o leaderismi, per cercare di guarirci dai mali che ci affliggono e ci depotenziano, per liberare nuova energia vitale, per riconnettere ciò che è disperso.
Scoprendo che sono molti di più di quanti pensiamo quelli che, forse senza saperlo, stanno camminando nella stessa direzione, da ora in poi, insieme». Bentivogli, Magatti, Becchetti e Rosina firmarono nel 2017 un appello per un Forum civico per «mettere in circolo le esperienze della società civile». Molte associazioni hanno collaborato nel corso degli anni a imprese comuni, da Retinopera ai comitati promotori delle settimane sociali, con lo strumento delle alleanze, delle reti.
Unendo i puntini di documenti, incontri, appuntamenti, le suggestioni, emerge una cultura comune: il no al leaderismo e al potere verticale, il comando in poche mani che schiaccia tutte le altre identità e il sì alla valorizzazione delle diversità territoriali, culturali, sociali. Il no al sovranismo e il sì all’Europa solidarietà e della sussidiarietà. Il no a una visione antica del rapporto Stato-mercato, sia in chiave liberale che socialista, e il sì alla autonomia della società civile come motore di innovazione e di sviluppo sostenibile.
SENZA LEADER
Una tavola dei valori coerente, ma bisogna poi chiedersi il motivo per cui il piano B non riesce a diventare piano A, perché queste istanze sono così poco rappresentate nel dibattito pubblico e nella politica. Di fronte all’irrilevanza i cattolici si sono rifugiati negli ultimi anni o nel fantasma del partitino identitario, che ritorna puntuale in vista delle elezioni europee, nel marketing elettorale il cattolico diventa una categoria da mettere nello scaffale, neppure tanto apprezzata, per farsi eleggere a Strasburgo.
O hanno delegato la rappresentanza a figure eminenti, portatrici di valori, senza legami con percorsi formativi o associativi, che ripropongono la questione della rappresentanza: come riaprire per questa cultura, una cultura della democrazia, percorsi collettivi, aperti a tutti, non gergali, non elitari, in grado di incidere e anche di appassionare?
C’è un netto scollamento tra una classe dirigente spaesata (compresi alcuni dei firmatari del manifesto Piano B), che non si ritrova né con Giorgia Meloni né con Elly Schlein, né con Renzi né con Calenda, ma neppure con Giuseppe Conte e un elettorato che invece, soprattutto nelle generazioni più giovani, è terreno di scorribande di ogni colore, si rifugia nell’astensione o preferisce impegnarsi, seguendo in modo radicale le parole di papa Francesco, in una Ong, su una nave che salva i migranti, in un centro di accoglienza, in un movimento di salvaguardia dell’ambiente.
Dopo un anno di stasi, il sistema politico è di nuovo in movimento, sull’Ottovolante di Giorgia Meloni in evidente tensione. Il caso di questi giorni, il libello di un generale che scala le classifiche Amazon, prepara un tour e il suo ingresso in politica, rappresenta l’ennesimo esempio di disintermediazione, il mondo nuovo in cui i cattolici appaiono il mondo di ieri, con le loro lentezze, le mediazioni, le discontinuità dal passato impercettibili.
E invece i leader servono, soprattutto se sono testimoni, come sono le due figure che hanno aperto e chiuso il meeting e in precedenza il convegno di Camaldoli. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che parlerà a Rimini domani e il cardinale Zuppi, presidente della Cei. Due cattolici italiani che riescono a parlare a tutto il paese, senza barriere. Con uno spartito, ma senza partito.