Il dilemma di Meloni che non esclude il sostegno I rischi della “mina” Salvini
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9 Dicembre 2023Alessandro Braga, MILANO
«Lo rifarei, senza dubbio». È convinto Marco Vizzardelli, giornalista e appassionato melomane. Passa metà del suo tempo in giro per i teatri di tutto il mondo a seguire l’opera lirica. Ne scrive su siti specializzati e la prima volta che è stato alla Scala, che lui ricordi, è stato per La Valchiria di Sawallisch-Ronconi, che ha debuttato al teatro scaligero nel 1974. Nell’altra metà del suo tempo, si occupa di cavalli, perché appassionato non solo di gorgheggi, ma anche di ippica. Tornasse indietro di 24 ore (ormai 36 per chi legge, ndr), quel grido (che poi lui dice essere stata semplicemente una frase detta ad alta voce) se lo lascerebbe scappare ancora. Giura che non è stato nulla di premeditato, ma un moto quasi istintivo. E poi, tra lo stupefatto e il sorpreso, aggiunge: «Sono un po’ sbalordito che abbia una risonanza mediatica così forte una frase lapalissiana. Siamo in un paese antifascista, la frase è costituzionale». E invece…
INVECE per quella frase, “Viva l’Italia antifascista”, si è visto avvicinare a metà del primo atto del Don Carlo di Verdi, in scena a Milano per la prima della Scala, da un agente in borghese e poi, durante l’intervallo alla fine dell’atto, da quattro agenti della Digos, che lo hanno identificato.
Teatro alla Scala, poco prima delle 18 dell’altro ieri. Prima dell’esecuzione dell’inno nazionale, dalla seconda galleria, si alza un grido: “No al fascismo”. Alla fine del brano, Marco Vizzardelli, seduto in prima galleria, si lascia scappare la frase incriminata. Perché lo ha fatto? Perché, spiega, era inquietato per la composizione del palco reale, dove sedevano, insieme alla senatrice a vita Liliana Segre (per lei applausi scroscianti al suo arrivo in sala), diversi esponenti delle istituzioni, tra cui il ministro Matteo Salvini e il presidente del Senato Ignazio La Russa. «Mi inquietava la senatrice messa in mezzo in quella maniera in una polemica squisitamente politica e mi sono detto cosa fare. Poi è venuto tutto in automatico, in maniera spontanea», dice. Il giorno dopo il fattaccio, sorridente, racconta anche di averla buttata sul ridere con gli agenti che lo hanno identificato: «Ho detto loro che se avessi detto viva l’Italia fascista giustamente mi avrebbero dovuto legare e portare via».«L’ho fatto – spiega Zanardelli – perché mi inquietava la senatrice Segre messa in mezzo in quella maniera in una polemica squisitamente politica»
MA TANT’È, nell’anno domini 2023, in Italia, ribadire un concetto che dovrebbe (sottolineiamo, dovrebbe) essere alla base della vita politica di qualsiasi italiano ha le sue conseguenze. Ieri la Questura di Milano ha diffuso una nota in cui specificava che l’identificazione avvenuta durante la Prima della Scala era stata effettuata “quale ordinaria modalità di controllo preventivo per garantire la sicurezza della rappresentazione” e che “non è stata assolutamente determinata dal contenuto della frase pronunciata”. Difficile immaginare che la reazione di Salvini invece non sia stata determinata dal contenuto della frase pronunciata.
IL LEADER leghista non ha perso tempo, come suo solito, per diffondere una dichiarazione in cui sottolineava come alla Scala «non si vada per urlare ma per ascoltare». Magari fosse così pronto a censurare qualsiasi atteggiamento para fascista tra le fila del suo partito. In ogni caso, anche la reazione salviniana è stata oggetto dell’ironia di Vizzardelli («non sono un pericoloso comunista, al massimo un liberale di sinistra», si è voluto descrivere), che ha definito «un onore» essere finito tra i bersagli del segretario leghista. Che, e non era facile, è riuscito a far apparire migliore di lui pure Ignazio La Russa, che si è limitato a dire di «non aver sentito il grido».
La questione, immancabilmente, non poteva che finire sui social. L’hashtag #identificatecitutti ieri era trend topic su X (l’ex Twitter), rilanciato dal segretario di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo, da Sinistra Italiana e da moltissimi esponenti del Partito Democratico. E c’è stato anche chi, con ironia, invitava qualcuno a «darsi all’ippica». Non certo rivolto a Marco Vizzardelli, che di cavalli si occupa, bene e da molto tempo, ma a qualcuno che forse farebbe una miglior figura se si occupasse di corse tra equini, piuttosto che sedere tra i banchi del consiglio dei ministri.