«La chiesa da sempre deve unire due cose: la radicalità e la complessità». Cita don Milani, il cardinale Matteo Zuppi, che con il suo intervento ha chiuso, domenica 2 aprile, il festival “Tempi radicali” di Domani a Modena. Intervistato dal direttore Stefano Feltri, il presidente della Conferenza episcopale italiana parla di guerra, dialogo necessario, migranti e abusi clericali, insistendo sulla necessità di «entrare nel grigio», di interpretare la complessità dei tempi che attraversiamo contro la logica semplificante del bianco e nero.

I DIECI ANNI DI FRANCESCO

«Papa Francesco ci ha insegnato a stare nella storia – ha spiegato – dialogo e identità devono andare insieme, non c’è l’uno senza l’altra e noi abbiamo bisogno di persone che uniscono».

Sollecitato a individuare tre parole che rappresentano i dieci anni di Bergoglio, ha nominato la gioia, i poveri e la sinodalità. «Il papa quando parla di periferie lo fa con un’ottica identitaria: capisco chi sono solo partendo dagli ultimi, dalle periferie – ha detto Zuppi – e mettere l’accento sulla sinodalità significa camminare insieme, pensare a una chiesa che coinvolga tutti, anche nei meccanismi di potere».

Il presidente della Cei ha poi detto che il papa rappresenta molto anche per i non credenti, «perché è una una delle pochissime autorità morali, in un momento storico che vede così pochi riferimenti non corporativi». «Su tanti temi, non solo sul piano spirituale», ha aggiunto, citando le encicliche Laudato si’, sulla cura dell’ambiente, e Fratelli tutti, sulla fraternità universale.

DIRITTI

Sulla guerra in Ucraina, il cardinale Zuppi ribadisce che bisogna essere chiari nel denunciare che c’è un aggressore e un aggredito, «altrimenti il grigio diventa opacità». Ma bisogna anche parlare di dialogo: «papa Francesco è stato il primo a dire che l’intervento in Ucraina era una guerra; dopodiché il problema vero è parlare del dialogo. Non significa rendere tutti uguali, né mettere tutti sullo stesso piano, però poi dobbiamo sapere che la logica del riarmo è una sconfitta e investire molto di più per mettere fine al conflitto».

Rispetto ai diritti del mondo Lgbt, e al dibattito in corso sulla gestazione per altri e la qualificazione giuridica dei bambini che sono stati messi al mondo con questa pratica, Zuppi ribadisce che la chiesa non si sottrae al dialogo. Lo dice la dottrina sociale della chiesa, che ha al centro la persona e i suoi diritti: anche la legge sull’aborto non è più messa in discussione».

Sul fatto che sia un diritto difficile da mettere in pratica per l’elevato numero di obiettori il cardinale glissa, limitandosi a dire che bisogna incentivare «l’informazione nei consultori. Così come bisogna implementare le cure palliative nel fine vita».

I PRIMI PASSI SUGLI ABUSI

Sugli abusi clericali, il presidente della Cei sostiene che per la chiesa «il problema è molto serio: siamo i primi che hanno interesse a contrastarlo». Dice, però, che anche famiglia e scuola hanno le stessa responsabilità. «Non per esimermi, perché non vogliamo passare per una manica di mascalzoni. Il rigore con cui i due ultimi papi hanno affrontato il tema lo dimostra».

«A novembre presenteremo un altro report – aggiunge – abbiamo individuato il tipo di reato, oltre ai numeri. Il dossier questa volta riguarderà gli ultimi vent’anni, cioè da quando abbiamo i dati su cui lavorare, altrimenti il rischio è avere delle proiezioni e non una fotografia completa. D’altronde abbiamo linee guida severissime alla base».

Zuppi tiene a sottolineare che si invitano le persone a denunciare alla giustizia civile ma non sempre le vittime vogliono esporsi: «Se non vogliono non li possono costringere», chiosa.

L’onere poi passa al vescovo: che però non denuncia alla giustizia civile e tutto resta all’interno della chiesa. «A quel punto abbiamo sempre dei tribunali ecclesiastici che funzionano molto bene», assicura il cardinale.

Le vittime, però, non sono state coinvolte in questo annunciato processo di trasparenza sugli abusi: Zuppi nega, dicendo che tre anni fa c’è stato un incontro al Consiglio permanente della Cei con alcuni sopravvissuti. La strada è iniziata ma resta ancora molto da fare.